Debito pubblico: cos’è e come si è formato? Ecco una panoramica che potrà rispondere alle vostre domande e chiarire le problematiche legate al tema.
L’attività finanziaria di uno Stato è destinata a garantire il funzionamento dei servizi pubblici per soddisfare i bisogni collettivi della società, a sostenere la propria crescita economica e a realizzare investimenti. Quando lo Stato colma il proprio deficit finanziario attraverso un prestito, contrae un debito: il debito pubblico.
La presenza di un debito pubblico più o meno alto è strettamente legata alla politica economica portata avanti dai rispettivi governi nel corso del tempo e non necessariamente rappresenta un Paese in stato di blocco economico, o scarsa crescita.
Debito pubblico italiano: cos’è, valore, come si crea
Cos’è il debito pubblico italiano
Il debito pubblico non è altro che l’ammontare dei debiti statali nei confronti di altri soggetti economici esteri o nazionali, che si crea quando le uscite sono superiori alle entrate.
Se il disavanzo non può essere coperto stampando più denaro, lo Stato emette dei titoli di Stato o delle obbligazioni del tesoro e le mette all’asta, dove vengono acquistate a un certo tasso di interesse annuo. Minore è il valore di tali titoli, maggiore è il tasso di interesse che lo Stato dovrà rimborsare. Qualora non riesca a saldare i debiti contratti, il Paese non è più in grado di finanziare i servizi e i propri investimenti ed è costretto a dichiarare fallimento. In questo caso, si dice che lo Stato va in default, una condizione di insolvenza nei confronti dei propri creditori.
In Italia, il default statale non è mai stato dichiarato, nonostante l’alto debito pubblico che lo Stato si porta dietro dalla politica economica seguita tra gli anni ’60 e ’80. Dall’epoca, il Pil (Prodotto Interno Lordo) è progressivamente diminuito, con conseguente aumento del debito pubblico.
Se consideriamo il Prodotto Interno Lordo come il valore totale dell’attività produttiva annuale di uno Stato, e il debito pubblico come l’aumento esponenziale della spesa pubblica senza crescita delle imposte, possiamo dedurre come il rapporto tra debito pubblico e Pil sia il parametro più utilizzato per valutare lo stato di salute di un Paese, in quanto permette di comprendere qual è il suo tasso di produzione e quali le sue uscite.
Nel caso dell’Italia, il bilancio negativo non è dato tanto dal rapporto entrate/uscite, quanto dall’ammontare dell’interesse sul debito pubblico. Lo Stato italiano infatti ha un saldo primario (il rapporto tra entrate e uscite del bilancio, escluse le spese per interessi passivi) in crescita, cosa che dovrebbe escludere la necessità di contrarre nuovi debiti per pagare gli interessi dovuti su quelli già in essere. Tuttavia, il debito pubblico italiano presenta alcune caratteristiche peculiari:
- una scadenza residua media più lunga rispetto a quello di altri Stati europei;
- una gran quota di esso è posseduta da residenti.
Questo fa sì che il Paese sia più resistente a shock finanziari, rispetto ad esempio della Francia e del Belgio. Tuttavia, la paura degli investitori di deterioramento dei conti con l’estero, visto il peggioramento del Pil, fa sì che percepiscano i titoli di stato italiani sempre più rischiosi, facendo così innalzare i tassi di interesse sul debito pubblico.
A quanto ammonta il debito pubblico italiano oggi
Dagli anni ’70, lo Stato italiano è bloccato su un debito pubblico superiore al 100%. Nonostante gli sforzi e alcune chiusure di bilancio positive, la stagnazione della produttività, la crisi economica e l’attuale sforzo economico sostenuto per l’emergenza sanitaria hanno riportato il debito pubblico al 155,3% nel 2020 e al 150,6% nel 2022.
Ad aumentare il rischio di default statale, anche l’aumento del tasso d’inflazione, che al 2022 si assesta sul 5,3%, e del tasso di disoccupazione, attualmente al 9,3%, secondo le stime del Fmi (Fondo Monetario Internazionale).
Come si è formato il debito pubblico? Le cause
La storia della formazione del debito pubblico in Italia si può dividere in quattro fasi:
- Prima fase: comincia nel 1897, con la crisi economica di fine Ottocento. L’Italia raggiunge il 117% del Pil nonostante un saldo primario positivo, ma riesce a scendere a quota 70% durante la crescita economica del periodo giolittiani;
- Seconda fase: nel primo dopoguerra, il debito contratto per lo sforzo bellico tocca il 160% del Pil. La cancellazione e la sistemazione dei debiti di guerra, oltre alla caduta del debito interno, permettono di superare la crisi finanziaria;
- Terza fase: durante la Seconda Guerra Mondiale, il debito pubblico italiano aveva raggiunto il 108% nel 1943, a causa delle spese dovute al conflitto. La terribile inflazione del secondo dopoguerra, però, sbriciola il debito e riassesta il rapporto col Pil al 40%;
- Quarta fase: l’ultima fase del debito pubblico italiano comincia alla fine degli anni ’60, quando cominciano ad attenuarsi le condizioni favorevoli del boom economico del secondo dopoguerra. È una fase considerata “cronica”, in quanto ancora irrisolta.
L’emergere delle tensioni economiche e finanziarie all’inizio degli anni ’70, sia sul piano interno che su quello internazionale, dà quindi inizio a una fase che ancora persiste e influisce sulla nostra economia.
Tra le cause sviluppatesi tra il 1973 e il 1994 troviamo, in ordine cronologico:
- la crisi petrolifera del 1973, che causa un’inflazione galoppante, alimentata dalla svalutazione della lira;
- il miglioramento del welfare, che provoca un aumento della spesa pubblica, il quale si combina con la stagnazione delle entrate;
- la stampa di moneta da parte della Banca d’Italia nel 1975, per comprare le obbligazioni rimaste invendute, scaricando il costo dell’aumento del debito dai conti pubblici sulla lira;
- la guerra all’inflazione da parte della Fed (Federal Reserve) nel 1981, che stringe i tassi e innesca una minirecessione globale prima del boom economico;
- la liberazione dall’obbligo di acquisto dei titoli di Stato invenduti di Bankitalia, per permettere alla lira di restare all’interno del Sistema monetario europeo;
- l’elevata inflazione del 1982, con tassi d’interesse superiori al 25%;
- l’introduzione di sistemi di intervento pubblico che prevedono spese incompatibili con le previsioni di crescita.
Negli anni ’90, i vari governi cominciano ad adottare una politica di tagli alle spese e di riduzione del debito pubblico, al fine di rientrare nei parametri stabiliti dal Trattato di Maastricht. Fino al 2007, il debito pubblico italiano subisce una diminuzione, ma la successiva Grande Crisi nel 2009 e le spese per far fronte alla pandemia causata dal Covid-19 hanno portato l’ammontare del debito a 2.714 miliardi di euro, secondo le dichiarazioni della Banca d’Italia a inizio 2022.
leggi anche
La crisi di Evergrande, spiegata bene
© RIPRODUZIONE RISERVATA