La utility tedesca punta al salvataggio statale da 9 miliardi. L’impianto di Wilhelmshaven, fondamentale per l’addio al gas di Mosca, si farà? Putin cerca il logoramento. E da lunedì, sarà black-out
Con i futures del gas che ad Amsterdan stamattina segnavano 171.50 euro per MWh, c’è ben poco da ridere. Anzi. Difficile però non prendere atto di un fatto: in attesa della farsa del default russo, è arrivato quello di Uniper. Una delle più grandi utility tedesche, da ieri ufficialmente in avanzato stato di colloqui con il governo tedesco per un salvataggio da 9 miliardi di euro. Partirono per suonare, tornarono suonati.
E al netto delle implicazioni economiche (e della questione comunitaria legata agli aiuti di Stato), ciò che fa riflettere è che Uniper fosse il soggetto chiamato a gestire la costruzione del primo rigassificatore per LNG della Germania, a Wilhelmshaven in Bassa Sassonia. Tradotto, il soggetto che avrebbe dovuto garantire lo strumento fondamentale per affrancare il Paese dalla dipendenza energetica via pipeline dalla Russia sta andando a zampe all’aria. Ieri un altro -28% in Borsa che ha portato il valore di mercato di Uniper a soli 4,14 miliardi di euro. A inizio anno era quattro volte.
E a mettere fine alle mille chiacchiere attorno al problema gas, ci ha pensato domenica il solito ministro dell’Economia di Berlino, Robert Habeck, il quale ha dichiarato quanto segue: In questo momento non abbiamo a che fare con le conseguenze di scelte strategiche sbagliate, bensì con un warfare di tipo economico, molto chiaro e totalmente razionale da parte di Mosca. Possiamo vincere, come Europa, questa guerriglia a colpi di ritorsioni? Se sì, a quale prezzo e con quali tempistiche? Perché il surplus commerciale tedesco svanito nel nulla e destinato a spalancare la porta a una bilancia commerciale in deficit già dal prossimo mese, roba da Riunificazione, parla chiaro: se la logica è quella del logoramento, difficile che Mosca capitoli prima dell’Europa. Semplicemente perché detiene un’arma più forte di tutte le sanzioni possibili: proprietà e gestione del rubinetto.
Il quale, proprio questa mattina, ha visto Gascade, il gestore dell’hub energetico tedesco di Mallnow, confermare la chiusura totale della tratta Est della pipeline Yamal-Europe, quella che dalla Russia passa per la Polonia e arriva nell’Ue continentale. Di fatto, Mosca pare prossima al taglio totale. Uno spoiler del quale andrà in onda da lunedì prossimo, quando a essere chiusa per lavori di manutenzione sarà la pipeline principale, Nordstream. E per dieci giorni. Al netto della retorica, l’Europa è a meno di una settimana dallo stress test energetico peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale, ben più drastico e sistemico dell’austerity di inizio anni Settanta. Cedere al ricatto russo? Ovviamente no, quantomeno non in forma ufficiale. Quantomeno non dopo lo sfoggio muscolare andato in scena fra Consiglio Ue, G7 e vertice Nato.
Ma appare decisamente lunare come questa vocazione al martirio europea faccia sfoggio di se, mentre a Lugano - in perfetta contemporanea - sta tenendosi la seconda e ultima giornata dell’Ucraine Recovery Conference, ovvero un forum dedicato alla ricostruzione post-bellica del Paese. Mentre ancora la guerra è in corso. E, anzi, l’esercito russo pare in netto avanzamento verso ulteriori obiettivi. E se già questo paradosso appare decisamente stridente con gli accadimenti tutt’intorno al Ceresio, il fatto che il premier ucraino, Denys Shmyhal, abbia già quantificato la cifra in qualcosa come 750 miliardi di dollari dovrebbe far riflettere. Officianti e sorridenti, fra gli altri, molti dignitari europei con in testa Ursula Von der Leyen, a detta della quale l’Ue resterà al fianco di Kiev fino alla vittoria. Di chi, però, rappresenta il discrimine.
Non a caso, Mosca tace a livello diplomatico e alza la minaccia di deterrenza bellica: nel Mar Nero sono schierati e pronti all’utilizzo 30 missili da crociera Kalibr. Per il resto, il Cremlino attende. Ad esempio, il default e il salvataggio di Stato di Uniper, atto che a detta dello stesso ministro Habeck potrebbe rappresentare il detonatore di una Lehman energetica fra le utilities tedesche. Ad esempio, i primi cedimenti del governo olandese, da due giorni assediato da una colonna di trattori che paralizza le strade del Paese in protesta contro le nuove regolamentazioni agricole. O un primo sbandamento nel churchialliano approccio all’affaire Ucraina di Boris Johnson, stante il più grande sciopero delle ferrovie da decenni in atto in queste ore, cui si unisce quello spontaneo degli automobilisti che congestionano le principali arterie verso le grandi città, muovendosi a passo d’uomo in protesta per il caro-carburante.
L’Italia? L’elenco delle categorie già colpite è lungo. I rischi potenziali enormi. E ora anche il ministro Cingolani ha gettato la maschera dell’ottimismo a oltranza, parlando chiaramente di inverno problematico, se si arrivasse a un blocco totale del gas russo. Ci siamo quasi. Questione di giorni. Non a caso, Mario Draghi sta spendendo una fortuna in melatonina e dopo il tour de force euro-atlantico si è lanciato in un Canazei-Ankara per incontrare il dittatore Erdogan e parlare proprio di gas e sblocco dei carichi di grano.
Se è il logoramento la strategia in atto, Mosca può contare su un vantaggio strategico. L’Europa, invece, su una clessidra nella quale la sabbia scorre sempre più veloce. Con il Dutch a 171,50 euro e la Germania palesemente in recessione, l’autunno sarà pressoché ingestibile. A meno di un provvidenziale lockdown che svuoti e raffreddi le piazze. Ma se il 27 di questo mese, giorno di paga, la Bce non dovesse bonificarci lo scudo anti-spread con dettagli e operatività chiari, i problemi potrebbero cominciare da subito. Ed esplodere in agosto.
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