Milano è strapiena di turisti stranieri. Ma anche di negozi chiusi e scaffali vuoti: troppo costoso produrre la CO2 che serve per le bollicine della minerale. Lo spoiler inconsapevole di ciò che sarà
Milano è piena di turisti stranieri. Strapiena. E di negozi chiusi. Come ogni agosto. Quantomeno le due settimane centrali. Però questa è la prima estate dopo due anni di pandemia, la ripartenza prima di un autunno che sarà duro. Durissimo. Perché allora non sfruttare l’occasione? La risposta è relativamente intuitiva: le grandi catene, i grandi store possono permettersi costi di personale ed energia, il negozio di calzature del signor Rossi no. A meno di non vendere almeno sei paia di scarpe al giorno. Game over.
Ma c’è di peggio. C’è l’inconsapevolezza di quanto sta per avvenire. Non si sa quanto genuina e frutto di gramsciano ottimismo della volontà o autoimposta come esorcismo di un ineluttabile epilogo che si vuole rimandare il più possibile. Lo si capisce andando al supermarket. Nel mio caso - volutamente - uno molto noto. E grande. In zona molto centrale. Fa caldo e l’acqua è prodotto di primaria necessità. Ma solo se naturale. Quella frizzante o gasata, come la chiamiamo a Milano, non c’è. Nessuna marca. Anche quella più cara e in confezione da 4 e non da 6 bottigliette è terminata. Una reminiscenza in sedicesimi dall’incubo del primo lockdown, degli scaffali vuoti per quella prima settimana di totale smarrimento. Brutta sensazione.
Sia chiaro, si vive benissimo senza acqua frizzante. Non ci sono controindicazioni. A Milano, poi, l’acquedotto fa egregiamente il suo dovere e dal rubinetto esce un succedaneo più che onorevole. Però è un segnale di qualcosa che sta arrivando. La palla di neve che comincia a rotolare a valle, crescendo di dimensione a ogni metro. Intenta a diventare valanga. Almeno, potenzialmente. Produrre l’anidride carbonica necessaria per addizionare l’acqua minerale costa troppo. Il caro energia, per ora, ha colpito la tavola e il piacere delle bolle. Nessuna tragedia. Ma siamo a Milano. In un grande supermarket del centro, zona Bosco verticale. E lo scaffale è vuoto. E tale pare destinato a restare per un po’, almeno così sostiene l’addetto.
La gente lo vede. Ma finge di non vederlo. D’altronde, i milanesi sono rimasti in pochi. E i turisti vanno al bar e non al super, se hanno sete. Ma ecco che scorrendo i social, ci si imbatte in questo: .
È un vero boom quello che stanno conoscendo in Svizzera i riscaldamenti a legna. Gli esperti del settore consigliano di fare scorta il prima possibile perché i prezzi stanno lievitando. https://t.co/jy90uif8dj
— tvsvizzera.it (@tvsvizzera) August 12, 2022
da dove scrivo, il Canton Ticino è a meno di un’ora di automobile, traffico vacanziero permettendo. E per un varesino o un comasco, la Svizzera è casa. Più della Toscana o della Liguria. Ecco cosa preoccupa, tenendo la memoria forzatamente e controvoglia fissa sul ricordo di quegli scaffali vuoti: la consapevolezza. A un’oretta di auto da Milano, la stampa racconta della necessità di fare legna per l’inverno. E di farla ora, in fretta, prima che i prezzi lievitino ancora. La consapevolezza, appunto. All’esorcismo dell’acqua frizzante che non c’è ma tutti fingono di non notarlo, si contrappone la chiamata alle armi del fare scorta di fascine. Un’ora di automobile da Milano. Meta di frontalieri. Che espatriano e rimpatriano ogni giorno, esattamente come il sottoscritto prende il tram. Ma che rischiano di veder tramutato quel breve tragitto in un viaggio spazio-temporale fra realtà e narrativa.
Perché la realtà è questa:
ovvero, i prezzi futures dei contratti energetici a 1 anno di Francia e Germania che volano letteralmente alle stelle e, in contemporanea, nel medesimo venerdì di metà agosto, il flusso di Nord Stream 1 che torna brevemente a calare, fra le 13 e le 14. Quasi un segnale, come gli squilli a vuoto che lo stalker fa sul telefono della vittima per tenerla in tensione. E se la Russia decidesse di bloccare del tutto i flussi, già oggi solo al 20% della capacity totale su Nord Stream 1? Dove andrebbero definitivamente a finire i costi per MWh dell’elettricità di Parigi e Berlino? Quale segnale riceverebbe il mercato? Dove andrebbero a precipitare le previsioni di crescita economica? E quanto ci vorrà prima che l’Italia, anestetizzata da una campagna elettorale da teatro dell’assurdo e dal ritorno della morfina calcistica, prenda atto che - normalmente - quei due Paesi con le loro dinamiche anticipino di un trimestre il nostro accodarci a cascata?
E che la recessione sia alle porte, lo sanno tutti. Qualcuno lo ammette e si prepara, qualcuno esorcizza. Andando comunque in ferie colmo di ottimismo. Ma questo grafico
ci dice che è il mondo intero in modalità brace, brace! per un nuovo rallentamento che con il passare dei giorni assume i contorni dell’impatto. Mentre il Nasdaq macinava record e la stampa glorificava le Big tech, l’export tecnologico della Corea del Sud issava bandiera rossa di pericolo e la sventolava a più non posso. Anche qui, inconsapevolezza. O strabismo valutativo, perché difficilmente due facce della stessa medaglia così antitetiche possono convivere. E raccontarne di default sempre e solo una, fa sorgere dubbi. O, almeno, dovrebbe.
Come dovrebbe sorgere spontanea una domanda: come mai Mario Draghi non ha ancora sentito il bisogno di smentire - pubblicamente, nettamente e con invito a interrompere subito quella pubblicità ingannevole - le continue promesse di un suo bis a Palazzo Chigi che Carlo Calenda ripete in modalità Giorgio Mastrota, legando quell’ipotesi di continuità al voto per il suo tandem elettorale con Matteo Renzi? Forse perché Mario Draghi è consapevole. Di quei grafici. E della gravità intrinseca di quegli scaffali dell’acqua frizzante rimasti vuoti. Stiamo assistendo allo spoiler di ciò che sarà. Ma fingiamo di guardare altrove, magari lo smartphone. In modo da garantirci almeno il rassicurante alibi del cadere dalle nuvole, un domani non troppo lontano. Quando a Mendrisio avranno già fatto scorta di fascine.
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