Il Governo prova a risolvere l’annoso problema della disoccupazione giovanile con la Legge di Bilancio. Ma se il problema fossero - come disse la Fornero nel 2012 - i giovani, colpevoli di essere troppo “schizzinosi”?
Giovani disoccupati perché troppo choosy?
Era il 22 ottobre del 2012 quando l’allora Ministra del Lavoro Elsa Fornero si lasciò andare a delle dichiarazioni poco “fortunate” riguardanti la disoccupazione giovanile.
Una frase che causò scalpore, proteste, rabbia, del quale ancora oggi si discute.
“I giovani escono dalla scuola e devono trovare un’occupazione. Devono anche non essere troppo choosy, come dicono gli inglesi. Cioè, io dicevo sempre ai miei studenti: - Prenda la prima, poi da dentro lei si guarda intorno. - Però bisogna entrare nel mercato del lavoro, subito!”.
Un’affermazione che seguì a quella di Padoa Schioppa, che qualche anno prima definì i giovani come una generazione di “bamboccioni”.
Frasi che hanno scatenato le reazioni dei giovani, i quali oltre alle difficoltà che incontrano giornalmente nel trovare un lavoro lamentano uno scarso appoggio da parte dello Stato.
Di chi è la colpa della disoccupazione giovanile? Sono i giovani ad essere choosy (schizzinosi) non accontentandosi delle offerte di lavoro ricevute, oppure è lo Stato a non offrire loro gli strumenti giusti per fare carriera? A pochi giorni dalla presentazione in Parlamento della Legge di Bilancio 2018 - contenente diverse misure volte ad incentivare l’occupazione - torniamo a parlare dei problemi e delle cause alla base della disoccupazione giovanile.
Disoccupazione giovanile in Italia: dati poco incoraggianti
Secondo gli ultimi rilevamenti ISTAT (risalenti all’agosto del 2017) in Italia il tasso di disoccupazione giovanile (nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni) è pari al 35,1%.
Un dato preoccupante, ma in calo rispetto al 2016. Ciò conferma che nonostante il Governo abbia intrapreso la strada giusta, non è stato fatto ancora abbastanza per risolvere questo problema.
Una problematica ancora più grave se si prende in considerazione il tasso di Neet presenti in Italia: il nostro Paese vanta infatti il record negativo del 19,9% rispetto alla media europea dell’11,5%.
Chi sono i NEET
La parola NEET è un acronimo inglese che sta ad indicare una nuova generazione, quella dei “Not in education, employment or training”. Questo termine è stato coniato nel 1999 a seguito di un sondaggio del governo inglese sulle fasce giovani della popolazione.
Si tratta di quei ragazzi che non studiano e non lavorano, forse, in cerca della loro strada.
Giovani che vivono in una sorta di limbo, alienandosi e autoescludendosi dalle dinamiche sociali ed economiche del proprio contesto.
Questo non rappresenta un ostacolo solo per la loro crescita e per il loro futuro, ma è un fenomeno oneroso per tutta la società che contribuisce a sostenerli, soprattutto se teniamo conto del loro peso numerico: quasi 1 giovane su 5 risulta ad oggi inoccupato e non segue alcun corso di studi.
Le cause della disoccupazione giovanile
Le cause di questo fenomeno socio-economico possono essere molteplici e di diversa natura.
In primis il background di provenienza. Molti giovani si “adagiano” su quanto possiedono e/o ricevono dalla loro famiglia, senza essere stimolati a cercare una propria autonomia e indipendenza economica perché sicuri di non averne bisogno.
Altra causa associata al background potrebbe essere un basso livello di istruzione che offre, effettivamente, poche opportunità di inserirsi in un mercato del lavoro incerto e precario, in cui anche coloro che, al contrario, possiedono un valido curriculum studiorum perdono entusiasmo e competitività perché le opportunità sono scarse o poco soddisfacenti ed in linea con le loro aspettative.
In sintesi, i potenziali NEET sono coloro che hanno condizioni oggettivamente più difficili, come:
- i disabili;
- gli immigrati;
- coloro che vivono in piccole realtà locali (le percentuali del Mezzogiorno sono più alte di quelle del Nord);
- coloro che hanno un reddito familiare basso, da cui, spesso, consegue un basso livello di istruzione;
- figli di genitori divorziati.
Le conseguenze
Le conseguenze del sostegno ai NEET si riversano sulla produttività e la ricchezza dei diversi Paesi, in alcuni dei quali si tratta di una realtà quasi strutturale, come spiega Massimiliano Mascherini, direttore delle ricerche Eurofound:
“Se guardiamo ad un paese come la Spagna, l’aumento è dovuto principalmente alla crisi che ha fatto aumentare il numero di disoccupati mentre i Neet italiani sono fondamentalmente inattivi. Nella maggior parte dei casi non hanno mai lavorato e questo lascia intuire che ci sono problemi di fondo nel paese”.
Il percorso formativo di un individuo spesso non è “orientato” e manca un “dialogo istituzionale” che aiuti i giovani ad inserirsi, integrarsi, interagire con le aziende. Nonostante l’art. 1, comma 1, della Costituzione italiana sancisca che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, quest’ultimo viene percepito da molti giovani come qualcosa di estraneo e, spesso, inaccessibile.
La passività e la rassegnazione di una generazione incidono anche sull’aspetto culturale. D’altronde “le conseguenze di una generazione perduta non sono solo economiche, ma anche sociali” perché “si rischia che tanti giovani rinuncino alla partecipazione democratica nella società”.
Alla luce di ciò, i giovani italiani sono “choosy” o, semplicemente, “lost and confused”?
Giovani disoccupati perché choosy?
A questo punto ci viene da pensare: e se la Ministra Fornero avesse avuto ragione? Se il problema della disoccupazione giovanile dipende realmente - seppur in parte - al fatto che i giovani d’oggi sono troppo “choosy” nei confronti degli incarichi offerti?
Certamente dai dati Istat relativi alla disoccupazione si intuisce che per il lavoro in Italia non è un buon periodo.
Questi dati non sono confortanti specialmente se poi, guardando alla vita quotidiana, uno studente o neolaureato in cerca di lavoro deve passare per un’infinità di stage e tirocini che a volte non sono retribuiti.
Insomma, i giovani tribolano per inserirsi nel mercato del lavoro, lavorano gratis per lunghi periodi e quando si tratta di ottenere un contratto, i dati sopra riportati parlano da soli.
Da un certo lato quindi non si possono definire questi giovani “choosy”, né tanto meno dei “bamboccioni” visto che ogni giorno devono fare i conti con una realtà difficile che impedisce loro di raggiungere con facilità gli obiettivi prefissati.
Se, appunto, da una parte i dati Istat sull’occupazione parlano chiaro, d’altro canto, quanto detto dal ministro Fornero, non è poi così lontano dalla realtà: è noto, infatti, che con l’aumentare del benessere e del livello d’istruzione, si tende a mirare a posizioni considerate più idonee al profilo professionale raggiunto con tanti anni di studio.
Si crea così una situazione per cui tutti mirano agli stessi sbocchi professionali mentre, contemporaneamente, vengono abbandonati i vecchi mestieri, in particolar modo quelli manuali.
Tra i lavori più richiesti in Italia che nessuno sembra voler fare ci sono i saldatori, i cuochi, gli infermieri, i falegnami, i fabbri, ma anche ingegneri e commercialisti.
Per parlare di numeri sono circa 100mila gli annunci di lavoro a cui ogni anno nessuno risponde. Le piccole medie imprese continuano a cercare invano delle categorie professionali, senza però che qualcuno si candidi per incarichi come addetti ai macchinari, riparatori di impianti, saldatori, carpentieri e falegnami.
Ad esempio nel 2014 c’erano circa 35mila posti liberi per lavori che nessuno vuole fare.
Da questi dati emerge, quindi, una situazione in cui non ci troviamo più in un momento di benessere tale da permettere ai ragazzi di scegliere in base ai propri desideri. Avere obiettivi ed aspirazioni non significa essere choosy, tutti hanno il diritto di cercare di realizzarsi, poi c’è la realtà del lavoro e quanto il mercato è in grado di offrire.
Non basta di certo una parola per descrivere quanto sta avvenendo in Italia in questi anni.
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