Complice il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera, lavorare oltre confine potrebbe perdere il suo appeal.
Non è tutto oro quello che luccica. Il lavoro nero e il dumping salariale esistono anche in Svizzera. L’ultimo Rapporto sul lavoro nero diffuso dalla Segreteria di Stato per l’economia (Seco) della Confederazione elvetica ha mostrato che nel 2022 le offerte di stipendio inferiore a quelle usuali sono aumentate del 3%. Insomma, un’azienda su sei ha assunto personale offrendo uno stipendio inferiore a quanto stabilito dalla legge.
Lavoro nero in Svizzera: aumentano i controlli
Come si legge su Moneymag, la tendenza sarebbe diffusa soprattutto nei settori dove gli stipendi minimi non sono vincolanti. Non è un caso, inoltre, che questi episodi siano concentrati nei cantoni di confine. Delle 34.134 ispezioni, infatti, 2.738 sono state svolte in Ticino (il cantone di lingua italiana, più frequentato dai lavoratori del nostro Paese), 1.558 in più rispetto all’anno prima. Seguono poi il canton Vaud (1.649; +143), Vallese (540; +130).
Dal Rapporto 2022 è emerso che i settori dove il problema del dumping è più diffuso, a fianco a quello del lavoro in nero, sono sempre gli stessi, cioè edilizia e manifatturiero.
Non sono mancati controlli sulle persone fisiche, 165.845 per l’esattezza, che hanno riguardato in particolar modo il segmento alberghiero e della ristorazione, così come i parrucchieri. Da questi controlli sono derivate 1.802 multe e 637 divieti di lavorare in Svizzera. Nonostante nel 2022 i controlli siano stati più frequenti (+14% per le aziende e +23 per le persone fisiche), quello che è stato riscontrato è rappresentativo di una minima parte della situazione reale del mercato del lavoro.
Fasce di confine: i datori di lavoro approfittano dei frontalieri
Nelle regioni di confine, il dumping salariale è molto frequente a causa della presenza dei lavoratori stranieri che, non risiedendo in Svizzera, ricevono sempre più spesso offerte al ribasso.
Il fenomeno è molto diffuso nel Canton Ticino. Stando alle statistiche diffuse dall’Ufficio di statistica cantonale (Ustat) nel primo trimestre del 2023, le assunzioni dei frontalieri sono state superiori rispetto a quelle dei residenti. Rispettivamente del 4,0% e del 3,0%. La tendenza mostra che il numero di occupati residente è più stabile rispetto all’ultimo decennio, ma in calo negli anni più recenti. Nell’ultimo lustro si riscontra una diminuzione pari al 3,9% a fronte di un aumento dei frontalieri assunti pari al 16,6%. In un panorama in cui il tasso di disoccupazione complessivo svizzero è sceso a maggio al di sotto del 2%.
Spesso come accade in Italia, anche per i datori di lavoro svizzeri, lo straniero, frontaliere o meno, rappresenta un modo per risparmiare, o forse sarebbe meglio dire per lucrare, a discapito dei lavoratori indigeni, costretti a emigrare per trovare delle paghe sufficienti a fronteggiare il caro vita svizzero.
Conviene ancora fare il frontaliere?
L’andamento della manodopera qualificata a basso prezzo, potrebbe però invertirsi a partire dall’anno prossimo, per via del nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera, approvato nei giorni scorsi dal Senato. L’accordo sarà attuato a partire da gennaio 2024, con delle modifiche sostanziali per i «nuovi» frontalieri, ovvero lavoratori italiani che vivono entro 20 chilometri dal confine e che a partire dal 1° gennaio 2024 saranno assunti da un’azienda svizzera.
Come ha spiegato da un commercialista attivo in Italia nell’area di confine, questo status potrebbe perdere il suo appeal: «Il tutto dipenderà dalla posizione fiscale del singolo soggetto frontaliere italiano in Svizzera e al costo opportunità allo sforzo della periodica trasferta oltre confine e rientro - ha commentato Giacomo Trinchera a Moneymag.ch -. Presupponendo le annunciate politiche di sostegno economico contributivo alle zone di frontiera lato Italia (per mezzo d’istituzione delle ZES – Zone Economiche Speciali nelle province di confine), l’entourage elvetico non potrà che risentirne».
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