In Europa torna lo spread

Roberto Donzelli

13/06/2022

I tassi tornano a salire e con essi si amplia di nuovo lo spread tra i debiti dei vari Paesi

In Europa torna lo spread

Una nuova fase di politica monetaria è partita in Europa. Dalla grande crisi del 2008 a oggi, il mercato ha visto quasi sempre la Bce abbassare i tassi, senza mai una vera e propria prospettiva di rialzo duraturo.

Ripercorriamo quanto fatto da Francoforte negli ultimi 15 anni.

A luglio 2008 l’ultimo vero rialzo dei tassi Bce

Era luglio 2008 quando la Bce, portando il tasso di riferimento al 4,25%, arrivava alla conclusione di una serie di rialzi iniziata cinque anni prima, quando il tasso era al 2%. Allora c’era un’inflazione nascente a causa dell’aumento dei prezzi di materie prime e immobili e la Bce, con questi rialzi, tentava di tenerla sotto controllo.

Alla fine, però, ci pensò la grande crisi della finanza del 2008 a raffreddare l’economia. La Bce, esattamente come la Fed, dovette prendere atto della situazione e per evitare un avvitamento della crisi del sistema finanziario iniziò ad abbassare i tassi.

Già un anno dopo, nel 2009, eravamo all’1%. A dire il vero, nel 2011, quando la crisi sembrava alle spalle, la Bce tentò due rialzi. La politica ebbe breve durata, perché una nuova crisi, questa volta localizzata proprio nell’area euro, obbligò la Bce ad abbassare di nuovo il tasso di riferimento, arrivando progressivamente allo 0% nel 2016.

Non solo, ma durante il Covid, non potendo più abbassare ulteriormente i tassi, la Bce, seguendo in parte quanto già fatto dalla Fed, ha iniziato a intervenire pesantemente sui mercati con piani di acquisto diretto di titoli.

Si può quindi dire che un’intera generazione di analisti, economisti e operatori dei mercati non hanno, di fatto, mai conosciuto una fase di rialzo dei tassi, né tanto meno una politica generale restrittiva.

Ora, però, le cose sembrano cambiate drasticamente.

La Bce annuncia l’inizio di una nuova politica monetaria

L’esplosione dell’inflazione post-Covid ha messo gli istituti centrali di fronte all’impossibilità di proseguire con i piani di «easing» monetario e con la politica di tassi zero.

E in settimana la Bce ha ufficializzato ciò che era già nell’aria. Dopo il progressivo ritiro del piano di acquisto titoli, già anticipato nei mesi scorsi, a luglio arriverà il primo rialzo di un quarto di punto. A settembre, poi, ci sarà un altro rialzo, che potrebbe persino essere di mezzo punto in un colpo solo.

E probabilmente altri ne seguiranno, perché di certo questo non basterà a frenare l’inflazione.

Tassi, debiti pubblici e spread

Il piano di rialzi, però, comporta dei problemi di non poco conto in Europa.

In Usa, UK o altri Paesi, il rialzo dei tassi può raffreddare l’economia per combattere l’inflazione, anche a costo di un rallentamento del Pil e un aumento della disoccupazione.

In Europa, però, la Bce, oltre alla classica dicotomia tra disoccupazione/crescita da un lato e inflazione dall’altro, deve combattere con un problema ulteriore e cioè gli spread.

Poiché in Europa i debiti pubblici non sono «comuni», ma restano in capo ai singoli Paesi, è ovvio che il mercato «pesa» ognuno di essi in modo diverso.

La situazione della Germania o dell’Olanda non è la stessa dell’Italia o della Grecia.

Non solo l’economia o l’efficienza degli stati sono diversi, ma la notevole differenza nei rapporti debito/Pil rende l’impatto del rialzo dei tassi molto diverso.

L’Italia, ad esempio, che ha un debito/Pil molto elevato, subirà maggiormente l’aumento del costo del debito di 2 o 3 punti rispetto a un Paese come la Germania che ha un debito/Pil più basso. Questo pone l’ulteriore timore della sostenibilità, con il risultato che in realtà i tassi tenderanno a salire di più in Italia che non in Germania, poiché gli investitori considerano il nuovo ambiente finanziario più rischioso per il nostro Paese.

La Bce potrà disinteressarsi del problema, ma questo avrà notevoli riflessi politici, oltre che ovviamente finanziari. Oppure dovrà affrontare il problema, ma questo potrebbe compromettere la sua capacità di combattere con efficacia l’inflazione.

Per ora il mercato sta pesando questo problema e gli spread sono tornati ad ampliarsi con decisione.

Prepariamoci a un nuovo ambiente monetario

In ogni caso al momento è difficile pensare che i tassi non saliranno. Dobbiamo quindi fare i conti con il nuovo ambiente finanziario e monetario.

In primo luogo, i rendimenti saliranno probabilmente ancora per un po’. I tassi anche italiani sono ancora molto più bassi dell’inflazione. Prima o poi dovranno arrivare a un livello simile o superiore, perché tassi negativi non saranno accettati per sempre dagli investitori. Insomma, o aumentano i rendimenti, o cala l’inflazione. Probabilmente sarà un mix di entrambi.

In secondo luogo dovremo abituarci a un diverso livello di rischio tra i vari Paesi, con conseguente oscillazione degli spread.

Nell’ultimo decennio sul tema tassi e debito pubblico ci siamo abituati a una stabilità che probabilmente ora non c’è più. I tempi saranno sicuramente più «movimentati».

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