F18 della US Navy abbattuto per errore. Il generale Carlo Landi spiega cos’è il «Friendly Fire»

Redazione

22 Dicembre 2024 - 16:18

Un F18 della Marina americana è stato abbattuto per errore, si apprende dal Comando USA. Ma cos’è il fuoco amico di cui si parla? Per Money.it lo spiega il generale Carlo Londi.

F18 della US Navy abbattuto per errore. Il generale Carlo Landi spiega cos’è il «Friendly Fire»

Le agenzie hanno battuto la notizia che un F-18A Super Hornet della Marina americana è caduto nel Mar Rosso mentre si trovava in avvicinamento alla portaerei Truman (CVN-75) che svolge operazioni anti Houthi in quell’area. Il velivolo apparteneva allo Strike Fighter Squadron 11 (VFA-11) costituito nel 1950 e che porta il soprannome di «Red Rippers» .

Secondo il comunicato ufficiale dell’US Central Command l’incidente è stato dovuto a «fuoco amico» di una delle navi di scorta alla portaerei, l’incrociatore lanciamissili USS Gettysburg, classe Ticonderoga che svolge essenzialmente compiti di difesa aerea nei confronti del gruppo che accompagna la portaerei.

Money.it ha sentito in proposito il generale dell’Aeronautica Militare Carlo Landi, Navigatore Militare, ora in pensione, che è stato comandante del Reparto Sperimentale dell’A.M. e ha partecipato allo sviluppo di sistemi d’arma antiaerei.

Stemma dei Red Rippers Stemma dei Red Rippers US Navy

D. Generale Landi, cos’è il “friendly fire”?

In termini tecnici si definisce «fuoco amico» l’uso involontario di armamenti contro assetti, cioè velivoli, sistemi di terra, navi o unità dell’esercito del proprio schieramento. Non è un tipo di incidente nuovo anche se piuttosto raro. Purtroppo in combattimento gli errori sono sempre accaduti da quando le artiglierie aprivano il fuoco contro i propri reparti di terra fino ad oggi. È un problema particolarmente difficile da affrontare per le difese antiaeree e antimissile delle unità navali. A causa, tra l’altro, dei tempi ridotti di scoperta e reazione in caso di un attacco aereo condotto con velivoli, droni o missili.

D. Generale lei tra l’altro ha comandato un Gruppo dell’A.M. che si occupa della scoperta e identificazione di velivoli potenzialmente ostili. Come funziona un sistema di Difesa Aerea?

In Italia l’Aeronautica Militare è responsabile della Difesa dello spazio aereo nazionale cioè di quel tratto di cielo che sovrasta il territorio della nostra penisola e le nostre acque territoriali. La prima fase di questo sistema è la vigilanza a cui segue la scoperta e l’identificazione di velivoli ostili. È realizzata attraverso una rete di radar, collegati tra loro, che sorveglia costantemente i nostri cieli e da personale particolarmente addestrato perché i tempi di reazione sono ridotti e il margine d’errore deve essere minimo. Lo stesso concetto vale per una formazione navale che accompagna costantemente ogni portaerei. Intorno alla formazione viene creata una «bolla» virtuale di oltre 150 km dentro alla quale non può entrare alcun «mezzo volante», missile, aereo o drone che non sia identificato e riconosciuto.

D. Perché è necessario avere un’area così estesa?

Per due motivi. I radar imbarcati sulle navi hanno raggi di scoperta e identificazione di diverse centinaia di chilometri, ma sono limitati dalla curvatura terrestre. L’orizzonte radar non va oltre i 60/70 km considerando l’altezza delle antenne sulla nave (20 mt) e quella di un velivolo attaccante (100mt). Inoltre i mezzi aerei sono caratterizzati da velocità d’azione molto elevate. Un cacciabombardiere, come il Tornado o l’F18, nella fase di attacco vola a 20 km al minuto e può lanciare armamenti da distanze di 30/40 km. Per questo gli incrociatori come il Gettysborg, si muovono a 80/100 km dalla portaerei per assicurare una copertura efficace. In questo caso poi siamo in mar Rosso, che è largo massimo 350 km circa. È facile capire che i tempi di reazione tra scoperta, identificazione e intervento sono limitati ad una manciata di secondi e lo stress degli equipaggi sale.

D. Generale Landi, lei ha partecipato, come Navigatore, allo sviluppo operativo del velivolo Tornado. Che tattiche usa un velivolo per l’attacco a una portaerei?

Una nave militare moderna e, ancora di più una formazione di scorta ad una portaerei, costituisce uno degli obiettivi più difficili e insidiosi per un attacco aereo. Il valore, non solo finanziario ma anche militare e politico, di una portaerei è talmente elevato che l’unità non si muove mai da sola, ma è scortata (oltre che da almeno un sommergibile) da una serie di unità soprattutto con funzioni anti-aeree che la circondano assicurando l’ampiezza di quella bolla di cui parlavo.

Principale mezzo di scoperta rimane il radar, che può essere ingannato, ma con determinati limiti e per periodi di pochi secondi, quindi la prima tattica è ritardare la scoperta volando il più basso possibile sulla superficie del mare.

D. Per evitare il fuoco amico non ci sono sistemi di identificazione?

Certo. Come nell’aviazione civile ogni velivolo militare è dotato di un apparato che consente all’operatore radar di capire di che velivolo si tratta, ma anche questi sistemi possono essere ingannati o neutralizzati. Quindi la formazione navale non può basarsi unicamente sul segnale elettronico ricevuto dal velivolo, ma utilizza una serie di altri dati quali rotta seguita, quota di volo, velocità di avvicinamento. Ancora prima tutte le informazioni che provengono da altri componenti la formazione, come i velivoli radar imbarcati Hawkeye che, grazie alla quota di volo, alleviano il problema della curvatura terrestre.

D. Quindi un equipaggio di volo non può decidere di arrivare su una portaerei da qualsiasi direzione? Magari per la rotta più breve?

No, esistono «corridoi di entrata e avvicinamento» modificati periodicamente che l’equipaggio dell’aereo deve seguire con precisione mantenendo rotta, quota e velocità prestabilite. Se manca anche uno solo di questi elementi, si avvia il processo di verifica e poi l’abbattimento.

D. Quindi cosa può essere accaduto nel caso dell’F-18?

Con le poche informazioni a disposizione si possono formulare solo ipotesi vaghe.
Il comunicato del Comando USA sottolinea che il velivolo “non faceva parte delle formazioni” che quasi contemporaneamente stavano portando un attacco alle basi degli Houti. Queste operazioni possono aver focalizzato l’attenzione di tutti gli equipaggi e provocato un errore di valutazione. È anche possibile ci sia stato un errore di comunicazione tra i vari enti che gestiscono il sistema difesa aerea intorno alla portaerei. Il velivolo è stato colpito, ma i danni provocati dal missile fortunatamente non hanno impedito all’equipaggio di usare i seggiolini eiettabili: pilota e navigatore sono rimasti soltanto feriti e sono stati prontamente recuperati dai mezzi di soccorso della portaerei.

D. Può essersi verificato un malfunzionamento dei vari apparati radar o di comunicazione?

Sistemi così complessi possono sempre avere una malfunzione, va tuttavia considerato che molti degli apparati sono duplicati e comunque rimane la supervisione dell’uomo. Non si può neanche escludere un “disturbo elettronico” esterno che abbia momentaneamente messo fuori gioco la cosiddetta “catena di comando e controllo”. Anche il fatto che formazione navale fosse arrivata in area di operazioni da poche settimane può aver fatto la differenza.

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