L’AIFA autorizza la sperimentazione dell’Avigan in Italia: ma quali sono gli altri farmaci da noi utilizzati per la cura da Coronavirus?
Anche in Italia si utilizzerà l’Avigan - farmaco giapponese che sembra essere molto efficiente in caso di diagnosi tempestiva - per contrastare il Coronavirus.
A darne la notizia - che questa volta è ufficiale - è stato il Ministro della Salute, Roberto Speranza, il quale ha dichiarato che l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha dato il via libera alla sperimentazione del medicinale Avigan sui pazienti affetti da Coronavirus.
Una decisione presa dal Comitato Tecnico-Scientifico che si è riunito nella giornata di ieri; questi - dopo aver analizzato i primi dati a disposizione (ricordiamo che il farmaco si sta sperimentando sia in Cina che in Giappone) - hanno deciso di dare il via libera ad un programma di “sperimentazione e ricerca per valutare l’impatto del farmaco influenzale nelle fasi iniziali del Covid-19”.
Anche l’Avigan (divenuto famoso in Italia dopo che su Facebook sono diventati virali diversi video in merito), quindi, entra nell’elenco dei farmaci che in Italia si stanno sperimentando nella profilassi contro il Coronavirus e il Covid-19.
Ma quali sono gli altri farmaci? A che punto è la sperimentazione riguardo ad una possibile cura contro il Coronavirus? Facciamo chiarezza.
Farmaci anti-Coronavirus: Avigan
In attesa che nel mondo si metta a punto un vaccino contro il Coronavirus, in Italia si sperimentano diversi farmaci - già esistenti - che potrebbero guarire anche dal Covid-19.
A questi farmaci, dalla giornata di ieri si aggiunge l’Avigan, antivirale di produzione giapponese che secondo alcuni studi effettuati in Cina e in Giappone, sembrerebbe dare dei risultati ottimi qualora somministrato ai pazienti nei primi giorni del contagio.
I problemi sono diversi: come prima cosa non esistono studi accertati riguardo a questa efficacia e quindi si dovrà procedere con accortezza.
C’è poi da dire che l’Avigan presenta dei pesanti effetti collaterali, come la forte depressione (con tendenze al suicidio) e la malformazione del feto in gravidanza; ecco perché in Giappone sono anni che questo farmaco non è più in vendita (come confermato da un recente servizio andato in onda su SkyTg24).
Farmaci anti-Coronavirus: il Tocilizumab
C’è poi un altro farmaco che si sta sperimentando in Italia nella cura dei pazienti affetti da Covid-19. Si tratta del Tocilizumab, un farmaco anti-artrite che ha permesso a molti pazienti intubati di uscire dalla terapia intensiva in pochi giorni.
Ma c’è una precisazione da fare, come spiegato da diversi medici: il farmaco anti-artrite non cura dal Coronavirus (a differenza di quanto, invece, sembra fare l’Avigan).
La malattia causata da questo virus, infatti, provoca quello che gli esperti chiamano “distress respiratorio elevato”, ovvero una difficoltà a respirare che in alcuni casi necessita del ricovero in terapia intensiva. In realtà questa situazione non è dovuta al virus stesso, quanto ad una reazione eccessiva del sistema immunitario che diventa egli stesso causa di danno e progressione dei sintomi. Ebbene, il farmaco contro l’artrite va ad intervenire su questa risposta immunitaria ed è per questo che in molti casi è riuscito ad attenuare le disastrose conseguenze del Covid-19, riuscendo a far estubare i pazienti dopo pochi giorni dal loro ingresso in terapia intensiva (diverse le testimonianze in merito).
Coronavirus: quali altri farmaci vengono utilizzati per curare i pazienti
In attesa di studi più precisi riguardo a questi due farmaci, per la cura dei pazienti affetti da Covid-19 si sta utilizzando, nella maggior parte degli ospedali, farmaci retrovirali tipici delle cure contro l’HIV (come spiegato da Adriano Peris, direttore dell’anestesia e della rianimazione di Careggi).
Nel dettaglio, si tratta di due antivirali concentrati in uno: Lopinavir e Ritonavir, a cui in alcune circostanze si può aggiungere il Remdesivir; quest’ultimo, conosciuto anche come farmaco anti-Ebola, non è però semplice da reperire nonostante si stia rivelando uno dei più efficaci nella cura dei pazienti.
Il motivo è semplice: esiste un protocollo che lo prevede solamente per chi è intubato poiché la Gilead, l’azienda che la produce, visto l’aumento delle richieste ha ristretto i criteri di valutazione e lo concede solo alle rianimazioni.
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