Taglio del cuneo fiscale per aumentare gli stipendi, aiuti per le bollette, riforma del fisco, quattordicesima estesa e contrasto all’evasione: l’intervista a Carlo Cottarelli (Pd) di Money.it.
Bisogna aumentare gli stipendi con un ulteriore taglio del cuneo fiscale, serve intervenire sul prezzo delle bollette di luce e gas, e la riforma del fisco deve partire dalla semplificazione: queste sono alcune delle priorità di Carlo Cottarelli, candidato alle elezioni politiche 2022 con il Partito Democratico. Abbiamo affrontato anche l’argomento «cavallo di battaglia» del centro-destra, la flat tax, esaminandone la sostenibilità.
Siamo in un momento storico in cui sono aumentati i prezzi di tutto, a causa della guerra e dell’inflazione: dalla spesa alle vacanze, passando per le bollette, la vita non è mai stata così cara. Uno dei modi per sostenere i cittadini è aumentare gli stipendi, non solo con i bonus una tantum ma con interventi strutturali.
Con il taglio del cuneo fiscale previsto dal dl Aiuti bis gli aumenti degli stipendi sono praticamente impercettibili, soprattutto per chi ha redditi bassi. Come pensa che si possa intervenire a riguardo?
L’intervento del dl Aiuti bis è stato molto parziale, ma oltre a questo c’è già stato il taglio del cuneo fiscale fatto l’anno scorso, con circa 8 miliardi. La mia proposta individuale, fatta prima di candidarmi, è quella di fare in modo che gli aumenti di stipendio che vanno a integrare i contratti nazionali firmati siano esenti da tasse.
Un ulteriore taglio del cuneo fiscale è previsto nel corso della legislatura, quindi verrebbe introdotto in modo graduale. Ma oltre al taglio del cuneo fiscale si può intervenire con altre misure, come con il decreto Aiuti ter, a cui sta pensando il governo Draghi. Si possono fare interventi per calmierare il prezzo del gas e dell’elettricità prodotta con fonti rinnovabili, che adesso viene venduta al prezzo del gas. Ci sono quindi tre linee d’intervento: più soldi da parte dello Stato, e ora dovrebbero arrivare 14 miliardi; il prezzo del gas fissato a livello europeo, e qualche passo è stato fatto, visto che il prezzo di mercato è sceso in previsione di un possibile accordo. Infine, si può staccare il prezzo dell’elettricità da quello del gas, tenendo conto che il 40% del gas è prodotto con le rinnovabili.
Tra le idee del centro sinistra c’è quella di estendere la quattordicesima: a quali categorie di lavoratori? Come funzionerebbe, bisognerebbe rivedere tutti i contratti?
Ancora non c’è un programma specifico sull’espansione della quattordicesima, ma si parla di un ampliamento della platea. C’è un ministro responsabile, e prima bisogna vedere quali risorse ci sono a disposizione, da dove si possono ottenere i risparmi e così via.
Quali sono i punti salienti della riforma del fisco? Lei da dove inizierebbe?
Dalla semplificazione, a partire dalla giungla di deduzioni e detrazioni. Nel programma del Pd sono indicate le coperture. L’indicazione è quella di semplificare il calcolo della base imponibile. Un sistema fiscale moderno non è complicato perché ci sono diverse aliquote, non è che si semplifica con la flat tax. Si semplifica solo se diventa più semplice calcolare la base imponibile. Uno dei problemi principali nell’economia italiana è l’eccesso di norme, complicate e spesso contradditorie. Le faccio un esempio: compilare i moduli alle pmi costa 35 miliardi, e questo riduce anche la competitività delle nostre imprese, in particolar modo quelle piccole, che non riescono ad affrontare questi costi.
Tra gli argomenti caldi del momento c’è la flat tax, cavallo di battaglia del centro destra. Da economista, c’è margine di manovra per una misura del genere?
No. La flat è rimasta solo in 8 paesi dell’est, prima era in 15 paesi. Chi conosce la flat tax, la evita. Dal punto di vista economico costa tantissimo, 60 miliardi di euro, e non è chiaro da dove si recuperano questi soldi. La Lega dice dall’aumento delle entrate dovute alla crescita più elevata e al migliore contrasto all’evasione fiscale, però ex post, a consuntivo. Ma un taglio delle tasse da 60 miliardi si autofinanzi è completamente illusorio. Questa è la famosa curva di Laffer, inventata da un economista americano negli anni 80: c’è un livello di tassazione oltre al quale se si tagliano le aliquote aumentano le entrate. La stima fatta da diversi economisti e citata anche dal Fondo Monetario è che questo punto oltre al quale se si tagliano i livelli di tassazione aumentano le entrate è fissato intorno alla pressione fiscale del 70%. In una situazione del genere, tagliare le aliquote potrebbe funzionare, perché la gente pagherebbe più volentieri, l’economia crescerebbe. Noi in Italia, però, abbiamo la pressione fiscale intorno al 43%, non al 70%, non siamo in quel punto della curva di Laffer. C’è un grosso problema di finanziamento, di sostenibilità finanziaria, oltre alla questione sociale: un top manager con redditi da 600mila euro l’anno riceverebbe un taglio delle tasse da 185mila euro, 112 volte più alto di chi ha un reddito da 30mila euro. Questa è la versione della flat tax della Lega, a cui non credono nemmeno gli alleati di governo, in particolare Fratelli d’Italia, che invece propone una flat tax incrementale. Vuol dire che la flat tax si applicherebbe al 15% solo all’aumento del reddito. Qui i problemi sono due: il primo è che nella proposta di FdI questa misura vale solo per un anno, e un intervento che dura così poco sembra un po’ una presa in giro. L’altro problema è che due persone con lo stesso reddito in un anno, e la stessa fonte di reddito (cioè redditi da lavoro) pagherebbero due tassazioni diverse: non può essere costituzionale.
Uno sguardo al passato: l’Osservatorio dei Conti Pubblici ha pubblicato uno studio da cui emerge come più della metà delle rate di rottamazione delle cartelle non è stata pagata. Un’ennesima pace fiscale per lei è sostenibile?
Più che pace fiscale sembra un ennesimo condono: con un provvedimento generalizzato per cui si pagano meno tasse di quelle dovute, significa premiare chi non le ha pagate. Se invece il cittadino non ha potuto pagare le tasse allora è un’altra questione: tutti i sistemi fiscali prevedono delle opzioni a riguardo. Ma un provvedimento generalizzato sarebbe un condono, che premia l’evasione fiscale: sarebbe quindi un incentivo. Il peggior condono è stato lo scudo fiscale fatto dal secondo governo Berlusconi, intorno al 1992-1993. Non solo si potevano portare soldi all’estero pagando poco, ma consentiva l’anonimato: si faceva attraverso la propria banca, e l’Amministrazione Finanziaria non poteva nemmeno sapere chi stava evadendo.
Quali misure metterebbe in campo per contrastare l’evasione fiscale?
In parte è stato già fatto con l’introduzione della fattura elettronica, e altre misure tecniche tipo lo split payment, hanno portato a una riduzione dell’evasione fiscale di circa 10 miliardi, soprattutto dell’Iva. Bisogna continuare sulla stessa strada, con l’incrocio delle banche dati, soprattutto ora che sono state superate le obiezioni del Garante della privacy.
Dove trovare le coperture economiche per fare tutto quello di cui abbiamo parlato?
Nel programma del Pd c’è la copertura per il taglio del cuneo fiscale: le risorse verranno prese dal contrasto all’evasione. In generale, in un’economia che cresce aumentano le entrate dello Stato, e in questo modo c’è più spazio per fare tante cose: una parte viene usata per far quadrare i conti pubblici, e un’altra parte per aumentare la spesa nelle aree prioritarie. Diventa fondamentale, quindi, fare le riforme del Pnrr, che sono quelle che fanno crescere il Paese. L’unico partito all’opposizione del governo Draghi, Fratelli d’Italia, non l’ha votato, e ora nel programma del centro destra c’è la rinegoziazione del Pnrr. Hanno cambiato idea e priorità: sembra un po’ pericoloso.
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