Ad agosto, il colosso minerario Alrosa PJSC ha esportato pietre preziose per 250 milioni e le banche hanno facilmente bypassato il bando evitando il dollaro. L’era dell’ordine unipolare Usa è finita?
Quale sia lo stato dell’arte nei rapporti fra Europa e Russia è emerso chiaramente nel corso del fine settimana. Il braccio armato del Cremlino in fatto di comunicazione minacciosa, ovvero l’ex presidente Dmitry Medvedev, ha scelto Telegram per inviare un caldo biglietto d’auguri all’Ue in vista dell’autunno alle porte: A causa dell’aumento dei prezzi del gas a 3.500 euro per mille metri cubi, sono costretto a rivedere il costo previsto al rialzo a 5.000 euro entro la fine del 2022. Caldi saluti.
A stretto giro di posta, il Financial Times rendeva noto come l’Ue starebbe per sospendere l’accordo sui visti con la Russia. Di fatto, sanzioni sui cittadini. Che potrebbero entrare in vigore già dal Consiglio dei ministri degli Esteri della prossima settimana e che conformerebbero ufficialmente tutti i 27 Paesi a quanto deciso autonomamente da Repubblica Ceca e Polonia subito dopo l’inizio della guerra, lo scorso 24 febbraio. Insomma, muro contro muro.
Decisamente squilibrato, quantomeno a livello di impatto economico. Perché se lo stop ai turisti russi può avere fallout limitato, giungendo - casualmente? - alla fine della stagione estiva, il prezzo del gas stabilmente in area 300 euro per MWh non sembra lasciare molto scampo alle prospettive di crescita dell’eurozona. Ma ecco che, sempre nel weekend, qualcosa di silenziosamente inquietante ha rinforzato ulteriormente gli argomenti di chi comincia a ritenere il regime sanzionatorio contro Mosca una scelta controproducente e totalmente inefficace. A partire da queste due immagini,
la prima delle quali non pare necessitare di troppe didascalie o spiegazioni. In casa EXOR sembrano aver preso atto della necessità di un dibattito un pochino più approfondito sul tema, dopo mesi e mesi di narrativa. E di un default sovrano russo terminato nel dimenticatoio, ancorché alla chetichella, per timore di creare un precedente pericoloso, attivando le clausole dei credit default swaps per un Paese ufficialmente liquido e solvente.
Più interessante la seconda immagine, dalla quale si evince come - al netto di tutte le componenti di cambiamento -, le entrate quotidiane di cui può godere Mosca dall’export di carburanti fossili nell’arco temporale maggio 2021-maggio 2022 sembrano suggerire una quasi neutralità per la Russia di un eventuale rottura totale dai rapporti commerciali con l’Europa. Quantomeno per un anno. Periodo di tempo sufficiente invece a schiantare i Pil di mezza Ue. E c’è dell’altro. Certificato dalla solita Bloomberg, fonte ad oggi ancora non sfiorata da sospetti di infiltrazione delle terribili e apparentemente ubique spie del Cremlino.
Stando all’agenzia Usa, infatti, anche uno dei pochi ambiti commerciali che hanno visto gli Usa operare in prima persona e non attraverso il proxy dell’Europa a livello di sanzioni sarebbe tacitamente venuto meno. Tutti ricorderemo come lo scorso aprile, l’ Office of Foreign Assets Control del Tesoro statunitense sanzionò direttamente diamanti e caviale russo, suscitando non poche ironie rispetto all’impatto che questa mossa avrebbe avuto su Manhattan e gli Hamptons. Nel mirino di Washington terminò il gigante minerario russo Alrosa PJSC, soggetto talmente leader da vedere il proprio ingresso in black-list tradursi immediatamente nella riduzione del 30% dell’offerta di diamanti mondiale.
E per un breve periodo, le sanzioni funzionarono. Perché Alrosa PJSC pesa per il 90% della produzione russa di diamanti, quindi colpirla equivale a puntare all’elefante nella stanza. Una pesca a strascico garantita, come certificarono i flussi di diamanti russi verso la città indiana di Surat, vera e propria Mecca mondiale per il taglio e la pulizia dei diamanti. Stop pressoché assoluto. E ora? Nel mese di agosto, Alrosa PJSC ha visto le proprie esportazioni risalite a 250 milioni di dollari di controvalore, circa 75 milioni al di sotto del volume medio pre-guerra in Ucraina.
E il motivo di questo silente ritorno al business as usual rappresenta l’ennesimo segreto di Pulcinella della guerra: le banche globali, occidentali comprese, hanno posto in essere immediate contromosse al regime sanzionatorio, prima delle quali è evitare l’utilizzo di dollari americani nelle transazioni. Ed ecco il vero nodo della questione, lo stesso che sta obbligando sempre più soggetti politici e media a porsi la domanda rispetto all’efficacia dei bandi internazionali: non sarà che i turnarounds con cui a livello globale si stanno aggirando i divieti tutti politici contro Mosca e le sue attività, rappresentino - più che ipocrite scappatoie commerciali - la plastica dimostrazione della fine dell’ordine unipolare statunitense basato sul biglietto verde? I BRICS, nel frattempo, osservano interessati.
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