Berlino e Parigi sono le vere sovraniste: Macron attacca la scorrettezza Usa su gas e commercio, mentre Scholz va a Pechino con mezza industria tedesca. L’Italia punta sulle commesse in ambito Nato?
Giudicare un governo prima ancora che possa prendere la prima decisione concreta sarebbe pregiudiziale. E tremendamente stupido. Nell’attesa, però, un dato di fatto appare inconfutabile: se Roma è stata per un mese al centro dei timori europei come epicentro della controffensiva sovranista, in realtà questa categoria per ora pare degnamente rappresentata proprio da Francia e Germania.
Perché al netto del liberi tutti in cui si è sostanziata la disputa infinita sulla questione energetica in sede Ue, terminata con il brodino dell’ultimo Consiglio, Emmanuel Macron ha colto l’occasione dell’incontro con i giornalisti al termine del vertice per togliersi qualche macigno dalla scarpa. A pochi giorni dall’attacco frontale del suo ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, il presidente francese ha denunciato il doppio standard che gli Stati Uniti stanno ponendo in essere con l’alibi della guerra in Ucraina. Sia a livello energetico che di concorrenza nel commercio.
French President Emmanuel Macron slams US trade and energy policies for creating “a double standard” with Europe as resentment builds over the economic price the continent is paying over Russia’s war in Ukraine https://t.co/uLAAqPvWkH
— Bloomberg (@business) October 21, 2022
Insomma, non fosse per la collocazione politica diametralmente opposta fra l’inquilino attuale dell’Eliseo e il François Mitterrand che la incarnò originariamente, verrebbe da scomodare un approccio da force tranquille 2.0. O, stando ai toni utilizzati e all’uno-due nell’affondo contro Washington sostanziatosi a pochi giorni di distanza, forse sarebbe più consono parlare di una nouvelle force de frappe. Un problema comunque, quantomeno a livello di asse ed equilibrio continentale. E nel caso dell’Italia di rapporti bilaterali strategici in seno al Patto del Quirinale.
E se la Francia alza la voce, la Germania tace. Ma, in compenso, opera concretamente. Nel pieno del caos per la volontà di Olaf Scholz di cedere alla controllata statale cinese Cosco Shipping nientemeno che un hub strategico come il porto di Amburgo, il cancelliere pare aver preso atto di una dinamica ormai difficilmente reversibile. Soprattutto in un momento di crisi economica conclamata da inflazione ed energia: Questa:
se Berlino continua a esportare verso Pechino ma su volumi ormai stagnanti, esattamente come i dati macro del Paese, la Cina ha visto letteralmente esplodere i propri volumi di export verso la Germania, divenendone il primo partner commerciale. Detto fatto, in vista della visita al neo-rieletto e ormai plenipotenziario di stampo maoista, Xi Jinping, del mese prossimo, Olaf Scholz ha deciso di muovere tutte le sue pedine. Fisicamente.
Volkswagen CEO will travel to China next month, joining a high-ranking German delegation led by Chancellor Olaf Scholz, sources say https://t.co/KQGd02qi0G
— Bloomberg Markets (@markets) October 22, 2022
E il fatto che a capitanare la truppe di CeO teutonici - in quella che sarà la prima visita ufficiale di un leader straniero in Cina dallo scoppio della pandemia - ci sia l’amministratore delegato di Volkswagen la dice lunga sulla preoccupazione che Berlino vede montare rispetto a uno dei suoi asset strategici: l’automotive, appunto. E le sue prospettive di sviluppo nel comparto green che vedono la Cina in assoluto vantaggio su tutti. Non fosse altro per la disponibilità pressoché monopolistica dei minerali necessari ai processi produttivi dell’elettrico. E l’Italia?
Le nomine decise da Giorgia Meloni parlano chiaro: Guido Crosetto alla Difesa e Adolfo Urso allo Sviluppo economico sono garanzia di totale ostracismo commerciale verso la Cina. E di un più che probabile aumento delle spese militari, puntando tutto su un ruolo di fedeltà atlantica talmente totale e acritica - soprattutto in tema di Ucraina, argomento ormai sparito dalle agende di Parigi e Berlino - che potrebbe tramutarsi in un canale privilegiato di commesse militari in ambito Nato. Basti pensare, in tal senso, al recente ordine di elicotteri ricevuto da Leonardo dalla capofila dell’oltranzismo anti-russo, la Polonia.
Insomma, svolta da warfare alle porte? Moltiplicatore bellico del Pil in primo piano? Certamente soggetti come Leonardo e Finmeccanica festeggeranno. Ma al netto del profilo morale di un ampliamento smisurato di investimenti nella difesa rispetto ad ambiti strategici in sofferenza cronica come sanità, istruzione e ricerca, c’è un problema pratico. Enorme. E che potrebbe tramutarsi in un mal di testa cronico per il titolare del MEF.
Pur arrivando da una provincia con forte vocazione nel settore, essendo culla della storica Aermacchi, il ministro leghista rischia di dover fare i conti con la messa in discussione più o meno rapida e implicita di un interscambio commerciale fra Italia e Germania che vede molte PMI del Nord operare da esportatori di macchinari industriali e componentistica, soprattutto nell’automobile. Fornitura e subfornitura, logica contoterzista. Per cifre record.
Perché è abbastanza chiaro che se il porto di Amburgo diventerà cinese e Olaf Scholz tornerà da Pechino con in tasca commesse miliardarie e accordi su settori strategici, gli Usa potrebbero sollevare obiezioni - e forse sanzioni - in ambito di G7, WTO e in primo luogo NATO. A quel punto, cosa farà l’Italia? Proseguire un interscambio commerciale che nel 2021 ha toccato la cifra record di 142 miliardi di euro (+22.7% sul 2020), come certificato dalla Camera di Commercio Italo-Germanica (AHK)? O rimettere in discussione una partnership che vede interessati comparti strutturali come siderurgia, chimico-farmaceutica, elettronica-elettrotecnica e automotive?
Può sembrare un mero e precipitoso esercizio di stile geo-economico. Ma non lo è. Perché lo spegnersi progressivo della questione ucraina e l’apparente dissolvenza della spauracchio russo non deve ingannare. Lo Xi Jinping uscito dal Congresso del PCC è un leader che non solo gode di potere assoluto, avendo ottenuto un cambio statutario che ora lo definisce nucleo centrale del Partito ma che ha anche operato una sorta di notte dei lunghi coltelli all’interno del Politburo, estromettendo personaggi di enorme rilevanza come il numero uno della Banca centrale e i principali economisti di regime. Fino a permettersi il lusso di far allontanare fisicamente dalla sala l’ex presidente, Hu Jintao.
China’s Communist Party congress signaled a possible shake-up of the nation’s economic policy team at a time of heightened concern about the world’s second-largest economy https://t.co/lSmG14D383
— Bloomberg (@business) October 22, 2022
Non a caso, il ministro della Difesa di Pechino, Wei Fenghe, non più tardi di quattro giorni fa ha parlato di necessità di rimanere allarmati e vigili e prepararsi alla guerra in ogni momento, mentre l’intelligence di Washington sta reiterando le segnalazioni per un’invasione cinese di Taiwan possibile già entro fine anno. Il porto di Amburgo e quella missione in grande stile parlano chiaro rispetto alla scelta strutturale, più o meno obbligata dalla crisi dell’economia, compiuta da Berlino. E mentre Parigi per ora limita lo scontro a livello verbale ma ribadisce con sempre maggiore forza l’inaffidabile degli Usa come partner economico-commerciale, Roma sembra decisa a un assetto embedded rispetto a Washington. Legittimo ma foriero di conseguenze. Magari non immediate ma concrete. E di lungo termine.
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