Draghi rimanda ogni decisione sull’energia a dopo il vertice Ue, nonostante l’allarme di Confindustria. E mentre sul lago di Como va in scena la Davos de noantri, attenzione ai bonds in bear market
Da governo dei Migliori a governo del termostato, il passo è breve. Perché se il Paese che sei chiamato a governare per gli affari correnti implora interventi contro il caro-energia e la tua risposta si sostanzia nell’elencazione dei gradi e delle ore in meno di utilizzo dei termosifoni dal prossimo ottobre, difficile sfuggire all’ironia.
Anche se da ridere c’è ben poco. Ne sa qualcosa Carlo Bonomi, presidente di quella Confindustria che di colpo si è resa conto dell’importanza del gas russo per l’Italia. Questo grafico
ci mostra come in effetti anche il mitico Mr. Magoo si sarebbe reso conto del livello di dipendenza del nostro Paese da Gazprom ma, si sa, viale dell’Astronomia tende a offrire sempre supplementi di fiducia ai governi. Soprattutto se tecnici. Ora, però, è suonato l’allarme. Gli industriali, dopo aver preso atto con sconcerto che l’inflazione non sia transitoria, hanno dovuto scendere a patti con una realtà che parla di 4 miliardi di metri cubi in meno di gas a disposizione delle nostre imprese, in caso di chiusura totale dei rubinetti da parte di Gazprom. Tradotto, un’impresa su 5 rischia di fallire.
Insomma, il gas di Putin è come la Nutella: senza, che mondo sarebbe? Ha dovuto prenderne atto anche Olaf Scholz, cancelliere tedesco alle prese con altri 4 miliardi di linea di credito richiesti dalla dissanguata Uniper per evitare l’insolvenza. Dopo solo un mese dal salvataggio di Stato. Ed ecco, quindi, che con una settimana di anticipo, si può decretare il fallimento del vertice Ue sull’energia convocato per il 9 settembre. L’attesa delle cui risultanza ha spinto il Consiglio dei ministri a prendere tempo a livello di misure contro il caro-energia, limitandosi a contemplare ammirato il one-man-show del ministro Cingolani in versione fuochista. Perché i Migliori non vogliono né lo scostamento di bilancio, né un tetto al prezzo del gas solo a livello nazionale. Se l’Europa non sbloccherà la situazione, si opererà a colpi di termostato ed extra-profitti delle aziende energetiche. Insomma, si batteranno i denti e le aziende chiuderanno.
D’altronde, questa immagine
parla chiaro: si tratta della prima pagina dell’edizione internazionale del Financial Times di ieri, il cui titolo principale è appunto dedicato alle prime interruzioni forzate della produzione in Germania. Ora, a meno che il quotidiano della City non sia diventato di colpo una gazzetta allarmista e al soldo della propaganda del Cremlino, forse è il caso di inquietarsi nel constatare il nesso di causalità fra questa notizia e la conversione di Olaf Scholz alla realpolitik energetica. In compenso, oggi si apre il Forum Ambrosetti a Cernobbio, la Davos de noantri, la Jackson Hole all’amatriciana. Per capirci, il medesimo simposio dal palco del quale, non più tardi dello scorso aprile, il commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni, smentiva fra l’indignato e il divertito gli allarmi riguardo a una recessione europea legata alla crisi ucraina e dell’energia. Insomma, a livello di credibilità e autorevolezze delle predizioni ci si avvicina molto alle dritte ippiche del Pomata in Febbre da cavallo.
Ma non basta. Perché al netto del coro unanime di letture meramente transitorie e speculative legate al trend dell’inflazione giunte sempre dal lago Como la scorsa primavera, ecco che tutta l’attenzione ora sarà concentrata sui mitici televoto in tempo reale che la European House Ambrosetti condurrà fra i partecipanti alle tavole rotonde e agli speech a porte chiuse, così da avere un barometro puntuale sul meteo atteso dai cosiddetti addetti ai lavori. Insomma, istantanee che dovrebbero fotografare un Paese che ha appena preso atto di essere alla vigilia di una patriottica partenza per il fronte russo armato di termosifoni più freddi di due gradi e con le infradito ancora ai piedi. Nel frattempo, infatti, la retorica dell’alternativa legata a LNG statunitense e El Dorado algerino sembra svanita nel nulla.
Un po’ come la prosopopea anti-Cremlino di Olaf Scholz, il quale se non avesse l’impiccio dei Verdi nel governo starebbe già forzando i lucchetti della centrali nucleari tedesche con il tronchese. E attenzione, perché le parole del cancelliere sull’irresponsabilità insita nella pretesa di fare totalmente a meno di Gazprom sono arrivate subito dopo la dichiarazione della sua ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, a detta della quale il sostegno all’Ucraina continuerà a dispetto di quanto possano pensare gli elettori. Insomma, chi attendeva il regime change al Cremlino potrebbe rimanere spiazzata da quello anticipato al Bundestag.
E questo ultimo grafico
ci mostra l’ultima variabile entrata in gioco e che potrebbe far saltare definitivamente il banco: il mercato obbligazionario globale è entrato ufficialmente in bear market, avendo perso il 20% dal suo picco del gennaio 2021. E se questa contrazione dei bonds rappresenta la prima della cosiddetta generazione Qe, ecco che il comparto europeo mostra i segni di emorragia maggiore: -40% dai massimi, chiaramente frutto dell’esplosione dei prezzi energetici legata alla crisi ucraina.
Se fra meno di una settimana, la Bce avrà alzato i tassi di 75 punti base (ma anche 50 paiono sufficienti a far danni in un contesto simile), dove andranno a finire gli spread? Da inflazione a deflazione via una nuova crisi di insolvenza sovrana? Bella prospettiva. Cui sicuramente sarà sufficiente opporre due gradi in meno nei termosifoni e lo spauracchio di quel PNRR che ci tramuterà magicamente in un cantone svizzero. L’unica certezza? Piaccia o meno, Vladimir Putin ride.
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