La strategia dei Democratici, che si basava sulle “identità razziali” nella speranza, anzi la convinzione, di avere garantita la fedeltà elettorale di neri e ispanici per abitudine, è in via di estinzione. Ecco perché.
Le politiche cosiddette identitarie, basate cioè sulla pretesa che se un cittadino con una certa “identità” di razza, di genere, di religione o di propensione sessuale debba, necessariamente, votare per il partito che se ne auto-nomina il paladino, hanno subito un colpo tremendo alle recenti elezioni presidenziali.
Parliamo, ovviamente, del partito Democratico, i cui leader si cullavano nella convinzione che gli ispanici e gli afro-americani, gli ebrei e gli omosessuali, li avrebbero votati, docilmente, per abitudine. E invece hanno scoperto che le adesioni per pura appartenenza al gruppo sono calate, più o meno sensibilmente. Per esempio, la percentuale dei neri pro Trump è raddoppiata dall’8% del 2020 al 16%, mentre tra gli ispanici gli “abbandoni” dei Democratici sono stati tali da far raggiungere a Trump il record (per un repubblicano) del 45%, 13% in più del 2020, e a ridurre al 53% il voto per Harris.
Anche tra gli ebrei, per la posizione nettamente pro Israele di Trump, e tra gli omosessuali, per l’accettazione crescente tra i Repubblicani - anzi l’appoggio esplicito e pubblico di Trump e della moglie Melania - di cui godono le cause LGBTQ tra i conservatori e gli stessi cristiani evangelici, il GOP ha fatto progressi erodendo il tradizionale vantaggio dei Democratici. [...]
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