Ci stiamo davvero interrogando sulle conseguenze etiche e sociali di tecnologia e intelligenza artificiale? Nasce una nuova filosofia: il Cyberumanesimo. Ne abbiamo parlato con Marco Camisani Calzolari.
Il rapporto uomo-tecnologia sta diventando sempre più connesso e osmotico e quello che poteva sembrare fantascienza fino a pochi anni fa è divenuta realtà concreta.
Se è vero che l’evoluzione tecnologica e l’intelligenza artificiale ci hanno facilitato l’esistenza, dando vita anche a nuovi mestieri, corsi di laurea diversificati e nuove opportunità, è altrettanto corretto ammettere che, ad oggi, il nostro rapporto con esse ci sta facendo perdere i confini tra reale e virtuale, rendendoci sempre più dipendenti.
Il rischio, assai concreto, è creare una società all’insegna di una “schiavitù digitale”.
Questo è solo uno dei primi alert che Marco Camisani Calzolari, noto divulgatore scientifico e di recente nominato Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia, lancia in “Cyberumanesimo”, suo ultimo libro edito da Il Sole 24 Ore.
Eppure il genere umano non è nuovo al rapporto con importanti innovazioni che gli hanno facilitato la vita, come per esempio l’avvento dell’elettricità, che siamo riusciti ad addomesticare e ad asservire alle nostre necessità. Quello che stiamo vivendo in questa epoca è davvero una rivoluzione copernicana in termini di innovazioni e di progresso ma ciò che abbiamo perso è il senso della misura e la capacità di “tenere l’uomo al centro”, come recita il sottotitolo del libro.
Tra tutte le innovazioni dell’ultimo quinquennio sicuramente l’intelligenza artificiale è la protagonista assoluta. Non solo in termini di narrazione mediatica ma anche di applicazione tecnologica che sta letteralmente rivoluzionando anche il nostro modo di pensare e soprattutto di decidere - o meglio, di delegare decisioni che dovremmo prendere noi, in quanto umani, con il concreto rischio di perdere tale capacità e di scegliere solo fra varie opzioni.
Davvero non riusciamo a vedere quello che tutto ciò implica? Davvero ci stiamo affidando sempre più ad algoritmi che stiamo addestrando in maniera più o meno consapevole ad agire al posto nostro? Davvero stiamo permettendo che i nostri dati, perfino quelli più intimi, finiscano nelle mani di pochi per essere tramutati in puro profitto e non per creare benessere e prosperità comune? Gli spunti di riflessione sono molteplici e un primo input dovrebbe essere proprio quello di fermarsi un momento e ristabilire dei confini tra ciò che è umano e ciò che non lo è.
Il concetto di confine è realmente ben definito nel testo di Camisani Calzolari ed è quasi centrale: se per uno Stato sono disegnati dei limiti, per la tecnologia no, non esiste una linea di demarcazione. Essendo sovranazionale non tiene conto delle democrazie dei vari Stati e ciò che viene restituito in termini di dispositivi e di progresso non sempre collima bene con l’etica, la privacy e le costituzioni delle singole aree geografiche che la utilizzano.
Il problema, però, non è solo legale. È in primo luogo etico e legato alla sicurezza del singolo individuo. Non possiamo permettere di tramutarci in un mondo “algocratico” dominato da una “sovranità digitale” senza avere tutela dei nostri dati e avere contezza dell’utilizzo che ne viene fatto.
Come se ne esce allora?
L’autore propone un approccio olistico capace di tenere e far progredire insieme sviluppo tecnologico ed essere umano in nome della sopravvivenza e del benessere di quest’ultimo, che dovrà ancora essere capace di decidere, di discernere e di addestrare la tecnologia in maniera pulita e rispettosa per il proprio benessere e il progresso della propria specie.
Questo è, in una parola, il Cyberumanesimo. Eh no, non è futurismo ma un appello concreto a non perdere il focus sul rispetto della propria natura e persona da parte di tutti, istituzioni in primis.
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