Indennità di malattia, attenzione alla durata nel caso del contratto di lavoro a tempo determinato: quando si rischia una busta paga pari a zero.
I lavoratori dipendenti assunti con contratto a tempo determinato devono prestare molta attenzione alla durata dell’assenza per malattia, poiché qualora questa si protragga per molto tempo c’è il rischio concreto di restare senza stipendio.
Molti, infatti, non sanno che le regole per il calcolo della durata della malattia non sono le stesse di quelle previste nei confronti dei colleghi assunti con contratto a tempo indeterminato. Chi ha un contratto a termine, ed è stato assunto da pochi mesi in azienda, rischia infatti di avere a disposizione un numero limitato di giorni di malattia indennizzati dall’Inps e quindi di ritrovarsi con una busta paga pari a zero in caso di periodi di lunga degenza.
A tal proposito, vediamo cosa stabilisce l’Inps in merito alla durata della malattia retribuita per chi ha un contratto a tempo determinato, nonché qual è il limite massimo oltre il quale non si ha diritto ad alcuna indennità.
Assenza per malattia: quando e come è retribuita
Tutti i lavoratori dipendenti hanno diritto a un periodo, di durata variabile a seconda della tipologia del contratto, in cui possono assentarsi dal lavoro a causa di uno stato di malattia mantenendo il diritto a tutta, o una parte, di retribuzione.
Nel dettaglio, i primi tre giorni di malattia non sono pagati dall’Inps, ma nella maggior parte dei contratti collettivi viene comunque stabilito che è il datore di lavoro a doversi far carico della retribuzione in tale periodo, chiamato appositamente di “carenza”.
Dopodiché, dal 4° giorno di assenza interviene l’Inps, riconoscendo quella che viene chiamata indennità di malattia, così calcolata:
- dal 4° al 20° giorno di assenza spetta il 50% della retribuzione media globale giornaliera;
- dal 21° al 180° giorno di assenza spettano i 2/3, ossia il 66,66%, della retribuzione media globale giornaliera;
- oltre il 180° giorno, nell’anno solare, non spetta alcunché.
Va detto che i contratti collettivi possono obbligare il datore di lavoro a contribuire per integrare la parte di retribuzione riconosciuta al dipendente nel periodo di malattia, tant’è che in alcuni casi il dipendente arriva a ricevere persino il 100% della normale retribuzione.
È l’Inps, invece, a farsi carico della contribuzione figurativa nei giorni di assenza.
Durata della malattia retribuita: le regole per i lavoratori con contratto a tempo determinato
Come visto sopra, la durata massima della malattia retribuita è di 180 giorni, calcolati nell’anno solare di riferimento, termine oltre il quale il dipendente non ha diritto ad alcunché.
Tale regola vale anche per i lavoratori dipendenti assunti con contratto a tempo determinato, ma non è detto che questi abbiano sempre diritto a 6 mesi di assenza. Come specificato dall’Inps, infatti, per il calcolo della durata della malattia in questo caso si tiene conto di un altro fattore, in quanto al lavoratore spetta un numero massimo di giorni pari a quelli lavorati nei 12 mesi immediatamente precedenti all’inizio della malattia, da un minimo di 30 a un massimo di 180 giorni.
Ciò significa che un dipendente assunto da 4 mesi avrà a disposizione un massimo di 120 giorni di assenza, mentre uno assunto da appena 15 giorni avrà comunque la possibilità di assentarsi per un mese.
Tutto, quindi, dipende dall’anzianità in azienda: per questo motivo i neoassunti devono prestare molta attenzione a questo aspetto, così da limitare le assenze per malattia ai soli casi in cui è strettamente necessario. Superando il limite previsto, infatti, c’è il rischio di una busta paga pari a zero, senza dimenticare poi che al superamento del periodo di comporto, indicato nel contratto, c’è persino la possibilità di essere licenziati.
La durata della malattia dipende anche dalla scadenza del contratto
E ancora, prima di concludere è importante sapere che cessato il rapporto di lavoro ai dipendenti con contratto a termine non spetta più alcuna indennità di malattia.
Pensiamo al caso di Tizio, assunto da gennaio 2021 con contratto a tempo determinato della durata di 12 mesi. A ottobre 2022 questo deve assentarsi per malattia: tenuto conto della suddetta regola, ne risulta che la relativa indennità può essere riconosciuta per un massimo di 180 giorni. Di fatto, quindi, la malattia retribuita dovrebbe spettare fino a marzo 2023, tuttavia dipende da cosa deciderà di fare il datore di lavoro alla scadenza del contratto: se non ci sarà un rinnovo, né tantomeno una trasformazione a tempo indeterminato, l’indennità di malattia smetterà comunque di essere pagata alla cessazione del contratto.
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