Secondo il report 2022 sullo stato del marketing di Nielsen, oggi solamente un’azienda su quattro riesce a fidarsi dei suoi dati relativi al pubblico
Corre velocemente, cambia direzione, è sfuggente, trova nuovi percorsi, cambia obiettivi, scova nuove prede, ha un aspetto esteriore caratterizzato da mille macchie in chiaro scuro.
Non è un giaguaro, ma il marketing, così come emerge dall’ultimo rapporto di Nielsen.
Il giaguaro è una figura animale passata alla storia della politica italiana grazie alla metafora (ripetutamente parodiata: su tutti dall’ottimo Maurizio Crozza) coniata dall’allora segretario del Pd, Pierluigi Bersani, che indicava la smacchiatura del giaguaro come azione simbolo di un percorso elettorale ottimizzato, ossia scevro da operazioni inutili e tendente all’efficacia e all’efficienza.
Veniamo al dunque del rapporto Nielsen e capiamo perché oggi immaginificamente il marketing possa essere paragonato a un giuguaro da catturare e da addomesticare.
L’azienda che fa misurazione dell’audience e analisi dei dati, ha pubblicato il suo report annuale (la quinta edizione) sul marketing dal quale emerge che i brand stanno dando la priorità al digitale, ma negli ultimi due anni hanno dovuto lottare, e molto, per stare al passo con le mutevoli abitudini dei consumatori nei confronti dei media.
Non per niente il report Nielsen 2022 si chiama «L’era dell’allineamento» e vuole dimostrare come gli investitori abbiano bisogno di maggior fiducia nei propri dati per concentrarsi sul potenziamento del brand e sull’acquisizione dei clienti.
Il report annuale sul marketing di Nielsen è basato sulle risposte a un sondaggio a cui hanno partecipato 2.000 investitori nel mondo, di cui 464 in Emea, tra dicembre 2021 e gennaio 2022, che gestiscono budget di marketing pari o superiori al milione di euro, focalizzati su strategie media, tecnologia e misurazione.
Se due esperti di marketing su tre ritengono che i dati proprietari siano essenziali per le loro campagne e strategie, oltre a un 72% che ritiene di avere accesso a dati di qualità, solamente uno su quattro, il 26%, è pienamente fiducioso dei dati relativi al proprio pubblico.
E con l’imminente eliminazione dei cookie di terze parti è comprensibile che gli esperti di marketing diano la priorità alla personalizzazione e all’allineamento del marchio con le cause che stanno a cuore ai clienti.
Aumentare la brand awareness, abbattere i silos di misurazione, sviluppare strategie personalizzate e mostrare una maggiore responsabilità sociale sono tra le priorità principali per le aziende nel 2022.
Ne abbiamo voluto parlare in anteprima con Luca Bordin, country leader di Nielsen Italia, chiedendogli dapprincipio perché il marketing si sia così complicato negli ultimi anni.
Perché è diventato difficile fare marketing?
“Il marketing è diventato difficile - ha spiegato Bordin - perché c’è stata la digitalizzazione delle audience, che sono diventate sempre più individuali”. Colpa della tecnologia, insomma.
“Sì, e mettiamoci pure la cookie apocalypse. Ce lo dice il fatto che la data strategy è presente nella mente dei marketer intervistati, che vogliono sia capire se i dati che hanno sono di qualità e poi come utilizzarli per monetizzare le strategie di marketing”.
L’eliminazione dei cookie ha una motivazione alta, come la tutela della privacy, ma crea un problema per quanto concerne individuazione e misurazione delle audience. Che fare?
“Si possono utilizzare i segnali digitali che sono ancora reperibili sulla rete, metterli dentro grafi delle identità, ossia sistemi complessi di modellizzazione di dati, che creano identità digitali. Per esempio, age e gender. Possono essere seguiti cross-device, con profilazione, con machine learning e IA per calcolare le distanze: quando i dati sono molto vicini si ha l’identità digitale. Nielsen ha già servizi di ID Graph. Il progetto globale, Nielsen One, ossia come si faranno le audience del futuro, sarà proposto nei prossimi mesi negli Usa”.
Stop washing
Altro tema forte del fare marketing è la responsabilità sociale, che ormai può determinare le sorti di un brand, stando ai risultati del report: oltre la metà dei consumatori negli Usa (52,3%) effettua acquisti da marchi che sostengono cause che hanno a cuore; oltre il 36% si aspetta che i marchi che acquista sostengano cause sociali. Nonostante ciò il 55% dei consumatori non è convinto che le aziende promuovano un autentico progresso.
Bordin dice che “è necessario avere la responsabilità sociale, perché bisogna avere empatia con i consumatori. Il consumatore moderno è evoluto e informato, smart, vede oltre il proprio consumo. La partita le aziende devono farla, e non certo facendo washing”.
E poi c’è il social marketing, che pare essere diventata una strada a senso unico, se stiamo ai dati del report: quasi due terzi (64%) degli intervistati affermano che i social media sono il canale a pagamento più efficace, con TikTok e Instagram in cima alle preferenze di investimento. Gli investimenti nelle campagne sui social media sono aumentati del 53% tra i marketer a livello globale molto di più dell’aumento complessivo della spesa televisiva e radiofonica.
“Non è una strada a senso unico, ma è importante perché crea empatia, ingaggio del consumatore - dice Bordin -. Non è però l’unica cosa da fare. Le piattaforme social sono molto importanti per l’empatia, ma meno performanti per la brand awareness".
L’aumento nella frammentazione dei media accresce la necessità di misurazioni. La proliferazione dei canali produce un’abbondanza di set di dati unici. Questo avviene in particolare in Europa, dove c’è meno confidenza sui dati a disposizione e ad approcciare la modernità del marketing.
“Bisogna muoversi - dice Bordin alle aziende europee e quindi italiane - non bisogna temere il cambiamento, e puntare alla disponibilità di dati affidabili. Se non ci si muove si crea un gap con il pubblico, E teniamo presente che le aziende globali questo gap riescono a colmarlo con più rapidità ed efficienza”.
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