Matteo Salvini, il leone ferito

Vincenzo Caccioppoli

14 Giugno 2022 - 19:42

Il fallimento del referendum sulla giustizia segna l’apice della parabola discendente della Lega. Le prospettive di risalita del Carroccio e del suo leader.

Matteo Salvini, il leone ferito

Qualcosa deve essersi rotto nel meccanismo che aveva portato in soli due anni, o poco più, la Lega dal 4% al clamoroso 38% delle ultime Europee. Matteo Salvini, il grande artefice di tutto ciò, sembrava avere il tocco magico del funambolico fuoriclasse che riesce a portare la sua squadra alla vittoria.

Perché la Lega del primo Matteo Salvini vinceva e convinceva. Grazie al suo
segretario, era riuscita a diventare il primo partito italiano quando sembrava destinata a essere un piccolo partito padano ininfluente nei giochi della politica nazionale. Onor del merito a chi, con costanza, impegno, lavoro e merito, è riuscito in una simile impresa. Ma all’improvviso l’incantesimo pare essersi rotto, il motore inceppato, e il partito, seguendo il suo segretario, ha cominciato a innestare la marcia indietro.

Ma certo la colpa non può essere tutta del “conducente”, così come nel momento del trionfo tutti i meriti non potevano essere attribuiti solo a Matteo Salvini. Passare dall’altare alla polvere, in politica come nella vita, è questione di un attimo. Capita a tutti i grandi leader che, proprio per il fatto di compiere grandi imprese, devono subire quasi inevitabilmente periodi di grande difficoltà.

Quello attuale per il leader della Lega è sicuramente uno di questi momenti di “risacca”, che ha il suo inizio nell’estate del 2019, quando il leader leghista prende la decisione di ritirare la delegazione al governo con i cinque stelle, ormai logorato da mesi di liti e incomprensioni. La crisi che segue ha conseguenze pesanti sulla Lega e sul suo leader, che forse immaginava ben altri scenari rispetto a un nuovo governo M5S e Pd.

Ma non si può gettare la croce su chi opera alla luce del sole, facendo scoppiare una crisi di un governo che lo vedeva protagonista e nelle vesti di ministro degli Interni. Il suo obiettivo era chiaramente andare alle urne, cosa che nel nostro paese viene ultimamente considerata alla stregua di una extrema ratio e non come la massima espressione di una democrazia.

Quel gesto istintivo, ma mirato verso una chiara finalità, è stato visto come una follia, un colpo di testa determinato dalla sua estate passata in un noto locale di Milano Marittima da lui frequentato. Una pantomima che continua ancora adesso.

Evidentemente, all’interno del suo stesso partito, che all’epoca spingeva da tempo per una frattura al governo (in particolar modo nella persona di Giorgetti, che adesso viene portato come rappresentante della parte ragionevole della Lega), qualcuno se la deve esser legata al dito.

A molti forse è parso di assistere al ripetersi della parabola politica di Matteo Renzi che, premier del paese e padrone incontrastato del Pd, dopo avere superato il 40% nelle elezioni europee 2014, precedenti a quelle che hanno visto trionfare la Lega (2019), è miseramente crollato dopo la sconfitta sui referendum, boicottati soprattutto da gran parte della sua parte politica. Sic transit gloria mundi.

Ma a tal proposito è altrettanto curioso come il King maker del governo giallorosso, che ha praticamente messo fuorigioco Salvini dai giochi politici dopo la crisi da lui provocata, sia stato proprio Matteo Renzi. La Lega adesso sta affrontando uno dei momenti più delicati degli ultimi anni, ma probabilmente è molto più compatta di quanto non si voglia far credere e, al di là di quello che si racconta, nel partito la leadership sembra ancora ben salda in mano a Matteo Salvini.

I recenti episodi del viaggio in Russia, come quello di due mesi fa in occasione della elezione del presidente della Repubblica, appaiono sempre più come trappole o bocconi avvelenati per un Salvini poco avvezzo alle manovre e ai giochi di potere sotterranei, ma sempre generoso nella sua azione politica volta a intercettare il malcontento della gente comune, stufa di soluzioni tamponi, che non risolvono i problemi di fondo atavici di questo Paese.

Tutto ciò adesso sembra ritorcersi contro di lui e di conseguenza contro il suo partito, che perde consensi alla stessa velocità di come ne conquistava tre anni fa. Salvini appare sempre più come un leone ferito, ma ancora in grado di dare la sua zampata. All’interno del partito può contare ancora su un bel gruppo di fedelissimi e dove, soprattutto, non ha seri rivali con la forza e la voglia di prendere il suo posto, mentre all’esterno ha messo da parte l’idea di un’alleanza con Forza Italia e pare avvicinarsi all’idea di una coalizione in cui chi prende più voti comanda, senza più ripetere cooperazioni improbabili come quella con i cinque stelle o quella attuale del governo di larghe intese.

Da qui potrebbe nascere un nuovo leader forse più maturo, e magari anche un pizzico più malizioso e attento. Una moderna fenice che risorge dalle sue ceneri e torna protagonista per provare a dare al Paese un nuovo governo compatto, unito in alcuni principi comuni, che possa ridare fiato anche ad alcune storiche istanze leghiste.

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