Nel M5s si inizia a parlare apertamente di scissione dopo lo scontro tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio: cosa sta succedendo davvero e cosa dice Beppe Grillo sulla regola del doppio mandato?
Stavolta lo scontro è palese. E qualcuno inizia a parlare apertamente di rischio scissione. Nel Movimento 5 Stelle c’è aria di tempesta e le divergenze tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio sono diventate pubbliche. Una guerra silente che va avanti da mesi, dall’elezione del presidente della Repubblica a gennaio.
E che dopo le elezioni amministrative diventa una vera e propria rissa, in seguito al fallimento del Movimento nella tornata elettorale del 12 giugno. Il ministro degli Esteri dice chiaramente che i 5 Stelle non erano mai andati così male al voto: “Non si può dare sempre la colpa agli altri”.
Di Maio non nomina mai Conte, ma la risposta del leader del M5s ed ex presidente del Consiglio è diretta apertamente al ministro degli Esteri: “Dica se vuole fondare un altro partito”. Nella polemica, che riguarda da vicino non solo la posizione del M5s sulla guerra in Ucraina, ma anche la regola del doppio mandato, si inserisce anche Beppe Grillo. Vediamo cosa sta succedendo tra i pentastellati.
Movimento 5 Stelle, rischio scissione?
Finora nessuno aveva mai voluto parlare di scissione nel Movimento, ma ora le cose sono cambiate. Qualche esponente di spicco del partito si dice convinto che Di Maio voglia andare via e ci si inizia a chiedere, negli ambienti parlamentari, quanto possa valere questa eventuale fuoriuscita.
Di Maio può contare sul sostegno di più di 50 parlamentari, secondo alcune stime, mentre è più difficile capire quale sia il suo valore elettorale. I sondaggi dicono che il suo gradimento come leader è sceso, mentre quello di Conte è ancora alto. Ma è difficile prevedere quanto possa valere oggi un partito di Di Maio.
Lo scontro sulla regola del doppio mandato
Lo scontro si è aperto sulla posizione del Movimento sulla guerra in Ucraina e sulle alleanze dell’Italia, ma anche su temi interni. A partire dal voto sulla regola del doppio mandato. Gli iscritti del M5s voteranno per decidere se concedere un terzo mandato a chi è stato eletto già due volte.
Approvando questa deroga al doppio mandato si permetterebbe ad alcuni big - compreso lo stesso Di Maio - di ricandidarsi. In caso di vittoria del no sembra invece più vicina l’ipotesi di una scissione. Proprio su questo punto l’attacco di Conte al ministro degli Esteri è stato diretto, tanto da parlare di “fibrillazioni prevedibili perché ci sono in campo questioni che riguardano le sorti personali di tanti nel M5s” con il voto sul doppio mandato.
M5s, Di Maio torna all’attacco
Dopo le polemiche di ieri, Di Maio è tornato sulla questione anche oggi sostenendo che in questo momento non è chiara la ricetta del M5s per il Paese: “Io mi sono permesso di porre dei temi e ho ricevuto solo insulti, io temo che questa forza politica rischi di diventare una forza politica dell’odio”, dice il ministro degli Esteri.
Di Maio lamenta la strumentalizzazione del viaggio del presidente del Consiglio, Mario Draghi, a Kiev. E attacca ancora alcuni esponenti pentastellati:
“Leggo in queste ore che una parte di M5s vuole inserire nella risoluzione frasi e parole che disallineano l’Italia dalle sue alleanze storiche, la Nato, l’Ue e da quella che è la sua postura internazionale. Noi non siamo un Paese neutrale, siamo un Paese che ha alleanze storiche. Non diamo grande prova di maturità politica quando strumentalizziamo il presidente del Consiglio”.
Scontro Conte-Di Maio, con chi sta Grillo?
Nello scontro tra Conte e Di Maio oggi prende posizione, almeno sulla questione del doppio mandato, anche il garante Beppe Grillo. Con un post sul suo blog dal titolo “Il Supremo mi ha parlato”, Grillo prende una posizione precisa sul divieto al terzo mandato: “Appare sempre più opportuno estendere l’applicazione delle regole che pongono un limite alla durata dei mandati”. Un no alla possibilità di un terzo mandato per i parlamentari pentastellati.
Grillo spiega la sua presa di posizione: “Alcuni obiettano - soprattutto fra i gestori che si arroccano nel potere - che un limite alla durata dei mandati non costituisca sempre l’opzione migliore, in quanto imporrebbe di cambiare i gestori anche quando sono in gamba: «cavallo che vince non si cambia» sembrano invocare ebbri di retorica da ottimati. Ciò è ovviamente possibile, ma il dilemma può essere superato in altri modi, senza per questo privarsi di una regola la cui funzione è di prevenire il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo”.
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