Senza una scelta attiva e informata, il TFR sarà destinato a comparti meno redditizi, penalizzando così il lavoratore nel lungo termine.
Il futuro del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è al centro di un acceso dibattito politico. Il governo sta valutando una riforma radicale del sistema, rendendo obbligatorio per i nuovi assunti destinare una quota del TFR (si parla del 25%) a un fondo pensione. Inoltre, si prospetta l’introduzione del ’silenzio assenso’ per i lavoratori già impiegati, che vedrebbero così il loro TFR confluire automaticamente nei fondi, salvo esplicita decisione contraria. Questa misura, ancora in fase di studio, si inserisce in un quadro più ampio di riforme previdenziali, volte a fronteggiare l’impennata dell’età media e la crescente pressione sul sistema pensionistico pubblico.
La logica alla base di questa proposta di legge è solida, e il trasferimento del TFR in un fondo pensione comporta numerosi vantaggi, tra cui una tassazione agevolata, la possibilità di richiedere anticipazioni o riscatti futuri, per non parlare dell’opzione della RITA. Il problema che qui vogliamo evidenziare è un altro: senza una scelta attiva e informata sul tipo di investimento, il TFR sarà destinato a comparti meno redditizi, penalizzando così il lavoratore nel lungo termine. Questi dati sono stati evidenziati anche nell’ultima relazione della Covip. Vediamo meglio di cosa si tratta.
Obbligo di TFR nel fondo pensione: qual è il rischio?
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