Vendita e locazione delle parti comuni di un edificio, ecco cosa prevede la legge, quando e come si possono acquistare.
Le parti comuni di un condominio sono per definizione a disposizione di tutti i condomini e devono essere impiegati nel rispetto di questo principio e del regolamento condominiale. Alla luce di questa regola piuttosto semplice non mancano comunque le dispute, anche piuttosto frequenti, sul loro utilizzo. I contratti di acquisto dei condomini sono particolarmente importanti, perché possono evidenziare ripartizioni diverse da quelle ordinarie, ad esempio un parcheggio privato all’interno dell’area condominiale. Ecco che il dubbio è più che lecito: si possono acquistare le parti comuni di un condominio?
Questa possibilità appare quasi contradditoria rispetto alla funzionalità stessa delle parti comuni, ma di fatto l’esistenza di spazi privati al suo interno complica un po’ la comprensione. Vediamo cosa prevede la legge.
Le parti comuni di un condominio si possono acquistare?
Il condominio è per sua natura e funzionalità fondato sulla condivisione di alcuni spazi, quelli comuni per necessità e struttura ai vari proprietari (ed eventuali inquilini). La definizione e l’impiego delle parti comuni del condominio sono disciplinati dal Codice civile, il quale stabilisce l’esercizio del diritto di proprietà di tutti i condomini sugli spazi in questione.
Questo diritto, peraltro, non è sottoposto a limitazioni, se non quelle derivanti dal rispetto del pari diritto altrui. Ad esempio, non c’è un tempo massimo per cui l’auto può restare parcheggiata nel posteggio condominiale, ma non deve risultare di impedimento per gli altri condomini. Il regolamento condominiale può comunque prevedere norme più specifiche per agevolare l’utilizzo degli spazi.
L’articolo 1117 del Codice civile individua le parti comuni del condomino, elenco che può essere variato da titoli adibiti, ad esempio il regolamento condominiale. Ad esempio, possono essere individuate ulteriori parti comuni rispetto a quelle previste dalla legge, così come alcune parti possono essere escluse se necessario. Di conseguenza, si possono vendere le parti comuni di un condominio (così come possono essere date in locazione), peraltro sia a terzi che a condomini. L’articolo 1117 del Codice civile, infatti, non vieta questo tipo di azioni, ma regolamenta le modalità con cui è ammesso cambiare la destinazione d’uso delle parti comuni.
La locazione e la vendita delle parti comuni non sono considerate dalla giurisprudenza maggioritaria come modifiche della destinazione d’uso e pertanto non devono seguire la relativa procedura. La competenza sulla vendita e la locazione delle parti comuni spetta esclusivamente all’assemblea condominiale, che deve deliberare in sede straordinaria. L’esistenza delle parti comuni, infatti, non è imposta per necessità, ma al contrario deriva dalla loro naturale funzionalità, a cui i condomini possono derogare.
Vendita e locazione delle parti comuni condominiali
L’assemblea in sede straordinaria può deliberare sulla vendita e locazione delle parti comuni dell’edificio, di norma quando queste azioni sono necessarie alla funzionalità del condominio stesso, ad esempio perché sono inutilizzate oppure per particolari necessità di alcuni condomini.
È però fondamentale che la decisione dell’assemblea sia supportata dai quorum previsti per legge. Nel dettaglio, per i contratti di locazione di durata inferiore a 9 anni è richiesto in sede di prima convocazione l’intervento di almeno la metà degli intervenuti in assemblea, che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio. Lo stesso quorum si applica per la seconda convocazione.
Per i contratti di locazione di durata superiore ai 9 anni è invece richiesto il consenso di tutti i condomini, nel rispetto dell’articolo 1108 del Codice civile secondo il quale è richiesto il consenso di tutti per le locazioni superiori a 9 anni (e per la costituzione e alienazione) delle parti comuni.
Di conseguenza, anche per quanto concerne la compravendita delle parti comuni è richiesto il quorum deliberativo dell’unanimità che, così come ribadito anche dalla Corte di cassazione, deve essere espresso per iscritto. È poi sempre con il consenso unanime che si perfeziona l’atto di compravendita con il rogito notarile.
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