Pensioni, la Cgil punta il dita contro il governo Meloni. Peggiorata la riforma Fornero, ecco 12 punti che lo dimostrano.
Duro comunicato della Cgil contro il governo Meloni e in particolare per le ultime novità sulle pensioni introdotte negli ultimi tre anni. Nonostante i proclami, in particolare in merito alla possibilità di superare la legge Fornero, le ultime leggi di Bilancio non hanno per nulla soddisfatto il sindacato il quale ritiene che oltre a non esserci stata alcuna risposta per giovani e donne, come pure per chi svolge lavori gravosi e usuranti, sia mancata una valorizzazione per il lavoro di cura.
Tutte mancanze che hanno portato persino a un peggioramento della legge Fornero, con la Cgil che ha individuato almeno 12 motivi a supporto di questa tesi. Modifiche che hanno portato ad “allontanare” il traguardo pensionistico, con l’obiettivo di posticipare il pensionamento a 70 anni.
Ma quali sono queste brutte notizie che secondo la Cgil dimostrano chiaramente un peggioramento sul fronte pensioni rispetto alla situazione ereditata dal governo Meloni? Facciamo chiarezza.
Pensioni, 12 motivi per cui sono peggiorate
Sono tre le leggi di Bilancio firmate dal governo Meloni, per niente sufficienti però per modificare il trend sulle pensioni e riconoscere una maggiore flessibilità in uscita. Anzi, i dati ci dicono che c’è stato persino un peggioramento, come dimostrato dai 12 punti fissati nel comunicato pubblicato da Cgil.
- 1) Azzerata la flessibilità in uscita. I dati Inps dicono infatti che nel 2024 c’è stata una riduzione del 15,7% delle pensioni anticipate rispetto al 2023;
- 2) Azzerata anche Opzione Donna, con un taglio del 70,92% delle domande nel 2024 confrontate con quelle del 2023. Ricordiamo che la ragione di questa riduzione è duplice: da una parte l’incremento dell’età anagrafica per andarci, passata da 60 a 61 anni, dall’altra il fatto che questa misura è stata limitata solamente a coloro che fanno parte di determinate categorie (invalide, caregiver e licenziate da grandi aziende);
- 3) Quota 103, che consente di andare in pensione all’età di 62 anni a patto di aver maturato almeno 41 anni di contributi, è stata prorogata ma mantenendo il ricalcolo contributivo, il che comportando un importante taglio sul calcolo della pensione rappresenta un disincentivo. Tanto che nell’ultimo anno il numero delle domande è calato notevolmente;
- 4) Anche l’anticipo pensionistico conosciuto come Ape Sociale è stato rinnovato, ma nel frattempo l’età per accedervi è stata portata da 63 a 63 anni e 5 mesi;
- 5) Peggiorata la pensione anticipata per i cosiddetti contributivi puri, ossia per chi ha iniziato a versare i contributi dopo il 31 dicembre 1995. Nel dettaglio, dal 2030 viene innalzata la soglia economica da raggiungere per accedervi, che passa da 3 a 3,2 volte il valore dell’Assegno sociale. Va ricordato che inizialmente questo limite era pari a 2,8 volte.
- 6) Dall’1 gennaio le pensioni sono più povere per l’abbassamento dei coefficienti di trasformazione. Va detto però che questo non si può imputare al governo Meloni, in quanto è proprio la riforma Fornero a prevedere questo meccanismo stabilendo che i suddetti coefficienti debbano essere adeguati ogni due anni sulla base delle speranze di vita;
- 7) Altro aspetto che non si può imputare al governo in carica, ma che la Cgil inserisce comunque nel suo elenco, è quello per cui dal 2027 il requisito per andare in pensione aumenterà di 3 mesi mentre nel 2029 di 2 mesi, spingendo così l’età pensionabile ancora più avanti. Come spiegato dal sindacato, questo meccanismo, aggiunto a quello del punto precedente, pone l’Italia come l’unico Paese in Europa dove i lavoratori subiscono un doppio svantaggio: da una parte l’età pensionabile è sempre più alta, dall’altra gli assegni sono sempre più bassi;
- 8) Tagli alle lavoratrici e ai lavoratori pubblici, con l’elevazione dei limiti ordinamentali a 67 anni, penalizzando ulteriormente le lavoratrici e i lavoratori pubblici attraverso un ulteriore allungamento per il “sequestro del Tfs/Tfr”;
- 9) Confermati i tagli al calcolo delle pensioni anticipate dei dipendenti pubblici attraverso una revisione retroattiva delle aliquote di rendimento per i lavoratori iscritti alle gestioni enti locali, cassa sanitari, ufficiali giudiziari e insegnanti di asilo o scuole elementari parificate;
- 10) Trattenimento in servizio per i pubblici fino a 70 anni, il che rischia di penalizzare ulteriormente le lavoratrici e i lavoratori vista la discrezionalità delle amministrazioni a trattenere i lavoratori fino al 10% per attività di tutoraggio e affiancamento. Allo stesso tempo manca il rilancio del sistema pubblico visto un taglio del 25% del turn-over occupazionale;
- 11) Tagli alla perequazione delle pensioni tanto nel 2023 quanto nel 2024. Soldi persi che non potranno più essere recuperati. Ad esempio, per una pensione netta di 1.700 euro, calcolando l’attesa di vita, è stimata una perdita complessiva di circa 7 mila euro;
- 12) Nessuna lotta all’evasione fiscale e contributiva.
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