Pensioni Forze Armate: i delegati Co.Ce.R. lamentano una poca chiarezza riguardo ai fondi di previdenza complementare.
Pensioni Forze Armate: sono in molti a chiedersi dove vanno a finire i contributi che i militari versano alle casse di previdenza (ci riferiamo a quelle complementari e integrative all’Inps).
Il problema è che sui contributi che ogni anno vengono versati a queste casse c’è ancora molta incertezza; è per questo motivo che per risolvere i problemi legati alle pensioni delle Forze Armate, i delegati Co.Ce.R. hanno chiesto una serie di incontri allo Stato Maggiore dell’Esercito e allo Stato Maggiore della Difesa per approfondire la situazione contabile e patrimoniale finora gestita dai fondi di previdenza complementare del personale militare.
Ma vediamo quali sono i problemi che i delegati Co.Ce.R. imputano all’attuale sistema di previdenza complementare, facendo chiarezza su come funzionano le casse attualmente in uso.
Forze Armate, poca chiarezza per la previdenza complementare
Come prima cosa è bene spiegare che i militari delle Forze Armate non possono decidere liberamente se aderire o meno alle casse di previdenza integrative rispetto all’Inps.
L’iscrizione, e di conseguenza il versamento della dovuta contribuzione, è obbligatoria per legge. Nel dettaglio, ogni mese gli interessati subiscono una trattenuta mensile (che si aggiunge alla quota contributiva che finisce nelle casse dell’Inps) destinata alle casse di previdenza; il valore varia a seconda dello stipendio, con una base di partenza - ad inizio carriera - pari a 35,00€.
Una somma non di poco conto, con il militare che dopo anni di esperienza riesce a maturare un fondo persino superiore ai 10.000€. Complessivamente, quindi, i fondi pensione integrativa dei militari si trovano a gestire qualche centinaia di milioni di euro; è il Ministero della Difesa a decidere il consiglio di amministrazione che dovrà occuparsene.
Il problema è che sul fondo pensione complementare c’è veramente poca chiarezza da parte dell’amministrazione. A differenza di quanto succede con la generalità dei fondi di previdenza complementare, infatti, i militari ogni anno non ricevono alcun resoconto riguardante la gestione dei fondi a disposizione della Cassa. Ecco perché è lecito domandarsi che fine facciano i contributi versati; domanda a cui però, visto lo stato attuale delle cose, è alquanto complicato dare una risposta.
Senza contare che è quasi impossibile sapere quanto è stato versato complessivamente negli anni di carriera, né tantomeno qual è la banca (anni fa si è parlato di Banca Marche, ma l’amministrazione non ha mai confermato ufficialmente) dove queste somme vengono depositate.
Previdenza complementare: quando i contributi si perdono
Ci sono dei casi in cui i contributi versati (obbligatoriamente e non per libera scelta) non vengono neppure restituiti e si perdono. Ad esempio - come spiegato dai delegati Co.Ce.R. - è così quando il militare cambia lavoro prima dei sei anni di servizio, o anche nel caso in cui questo, indipendentemente dagli anni di servizio, a causa di una malattia o di un infortunio sia “costretto” a congedarsi dall’Esercito e a cambiare incarico (pur restando come dipendente dello stesso Ministero).
In questi casi i contributi versati si perdono e restano a disposizione del fondo di previdenza complementare. Una piccola curiosità in merito: ciò vale solo per Esercito e Carabinieri, mentre Aeronautica e Marina Militare procedono con la restituzione.
Da anni i sindacati si battono per modificare queste norme, ma senza esiti positivi. La battaglia però non si ferma; i delegati Co.Ce.R. sono pronti a fare chiarezza il prima possibile, pretendendo una riforma dell’attuale sistema di previdenza complementare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA