Il governo Meloni non è riuscito a cancellare la legge Fornero, come da obiettivo fissato dalla Lega. Ma d’altronde ci vorranno anni prima che ciò sia possibile: ecco la data da cerchiare in rosso.
Il governo Meloni ha fallito, almeno nel caso in cui avesse mai avuto come reale obiettivo quello di cancellare la legge Fornero. Abbiamo seri dubbi infatti a riguardo: di superare la riforma del 2011 prevedendo regole meno severe per andare in pensione, ne ha parlato infatti solo il ministro Matteo Salvini, mentre la presidente del Consiglio non si è mai sbilanciata così tanto consapevole che si trattasse di un obiettivo ambizioso quanto irraggiungibile.
Almeno per adesso: in un futuro non troppo lontano sarà infatti possibile cancellare la legge Fornero, come tra l’altro la stessa autrice della riforma ha confermato a noi di Money.it in un’intervista rilasciata qualche anno fa.
Ciò sarà possibile quando sarà definitivo il passaggio dal sistema retributivo al contributivo per il calcolo della pensione, quando ossia ognuno avrà una pensione interamente calcolata tenendo esclusivamente conto dei contributi versati in carriera. Un calcolo molto più svantaggioso rispetto al retributivo, tanto da disincentivare le persone dall’andare in pensione in anticipo.
Ne è la conferma quanto successo negli ultimi 12 mesi a una misura di flessibilità che il governo Meloni ha voluto introdurre come alternativa alle regole di pensionamento vigenti in Italia: Quota 103, con la quale si può smettere di lavorare a 62 anni di età se raggiunti i 41 anni di contributi. Nel 2023 sono stati più di 20 mila i lavoratori che hanno fatto ricorso a questa misura per anticipare il pensionamento: nel 2024 questo numero si è notevolmente ridotto, tanto che - come risulta dai dati ufficializzati dal presidente dell’Inps, Gabriele Fava - le domande ricevute sono state appena 1.400. Qual è la ragione di un tale crollo? La colpa è da imputare al fatto che con l’ultima legge di Bilancio è stato introdotto un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno di pensione per chi accede a Quota 103 (che invece non c’era nel 2023), un’operazione che in molti casi comporta una penalizzazione della pensione. Ecco perché nessuno, o quasi, vuole più andare in pensione con Quota 103 che a oggi, per quanto risulti confermata anche nel 2025, risulta essere tutt’altro che un alternativa valida alla legge Fornero.
Preso atto del fatto che oggi non si può cancellare la Fornero, come tra l’altro confermato dal ministro dell’Economia Giorgetti che più volte ha fatto presente che alle condizioni attuali non è possibile una riforma strutturale del sistema previdenziale, possiamo però vedere quando ciò sarà possibile e in che modo le regole per andare in pensione potrebbero cambiare.
Cos’è la legge Fornero
La legge Fornero attuata nel 2011 dall’allora governo Monti, che vedeva la professoressa Elsa Fornero al ministero del Lavoro, disciplina per larga parte le regole per l’accesso alla pensione in Italia, nonché per il calcolo dell’assegno, è da tempo oggetto di proposte di cancellazione.
Va detto che il sistema introdotto nel 2011 è particolarmente penalizzante, almeno se confrontato a quanto succedeva in precedenza quando si andava in pensione molto prima rispetto a oggi e con un assegno generalmente migliore. Questa è una delle ragioni per cui mediaticamente la riforma è stata trattata in modo che venisse vista come uno dei momenti peggiori della storia della Repubblica, anziché mettere in risalto le ragioni che portarono l’allora governo Monti ad approvarla (e larga parte del Parlamento, compresa l’attuale Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a votarla).
Oggi far leva sulla possibile cancellazione della legge Fornero continua ad avere una forte presa tra l’elettorato; ne sa qualcosa la Lega, che deve gran parte del suo successo alle urne proprio alla promessa di rivedere il sistema pensionistico italiano rendendo l’accesso maggiormente flessibile.
Tuttavia, nonostante le proposte fatte in questi anni e le poche misure approvate (come Quota 100, o la più recente Quota 103), la legge Fornero resta al suo posto e lo sarà anche in futuro, almeno fino a quando questa aiuterà a contenere i costi del nostro sistema previdenziale.
La legge Fornero oggi non si può cancellare
Quando si parla di riforma Fornero bisognerebbe come prima cosa guardare al momento in cui è stata approvata. Perché è vero che l’allora ministra del Lavoro del governo Monti approvò una riforma “di lacrime e sangue” - come fu subito rinominata - ma lo ha fatto per mettere in sicurezza il sistema previdenziale tanto da assicurare un risparmio complessivo di circa 30 miliardi di euro.
Il rischio era che lo Stato non avrebbe avuto più i soldi per pagare le pensioni. Per identificare quel momento basti guardare allo spread, a inizio anno pari a 173 punti salvo poi arrivare a toccare la pericolosa soglia di 528 punti nel dicembre del 2011 (il valore attuale è di 130 per intenderci).
Serviva una scossa e così è stato, ma a farne le spese è stata perlopiù Elsa Fornero che ancora oggi viene attaccata per aver semplicemente fatto quel che era inevitabile.
Oggi le condizioni sono sicuramente migliori, merito della riforma stessa, ma siamo ancora lontani dal poter dire che il sistema previdenziale italiano è sostenibile. Anzi, in futuro si prevede persino un aumento dei costi e, a causa della minore forza lavoro, una riduzione delle entrate.
Per questo motivo togliere oggi la legge Fornero e consentire il pensionamento molto prima rispetto ai 67 anni di età, o comunque prima di aver raggiunto una contribuzione di 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne), non è possibile.
Quando si potrà cancellare la legge Fornero
Per stessa ammissione della professoressa Fornero, si potrà iniziare a ragionare su un sistema previdenziale maggiormente flessibile solamente dopo che verrà completato il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.
Per chi va in pensione oggi, infatti, c’è ancora una quota significativa dell’assegno che viene calcolata con le regole, ritenute troppo vantaggiose, del sistema retributivo. Consentire l’accesso anticipato avrebbe così una ripercussione negativa per lo Stato che dovrebbe pagare una pensione comunque alta e per un periodo più lungo.
Quando invece ci sarà il totale passaggio al contributivo, ossia quando chi va in pensione ha contributi maturati solo dopo il 1996, sarà possibile prevedere una maggiore flessibilità. Dovendo rinunciare a una parte di pensione per ogni anno di anticipo, visto un coefficiente di trasformazione del montante contributivo più sfavorevole, sarebbe il pensionato a farsi carico del costo previsto.
I pensionamenti anticipati diventeranno così sostenibili e per questo motivo si potrà ragionare con maggiore tranquillità su un abbassamento dell’età pensionabile. Ma a una condizione: nonostante la riduzione, la pensione percepita deve essere sufficiente per sopravvivere. Bisognerà infatti evitare che la persona si trovi nella condizione di poter richiedere sostegni al reddito, diventando un peso per le casse dello Stato.
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Quindi, pensioni anticipate sì, ma solo a chi in carriera ha percepito uno stipendio adeguato per assicurarsi una rendita adeguata al costo della vita. Un po’ come tra l’altro fatto dalla legge Fornero stessa che ha previsto uno sconto di 3 anni sull’età della pensione di vecchiaia, 67 anni, per coloro che hanno la pensione calcolata interamente con il sistema contributivo e maturano una pensione pari a 2,8 volte il valore dell’Assegno sociale (il governo Meloni ha incrementato a 3 volte questo limite, lasciandolo a 2,8 volte solo per le donne con un figlio e riducendolo a 2,6 volte per le donne con almeno due figli).
Ma quando arriverà il momento in cui il sistema contributivo verrà utilizzato interamente per il calcolo delle pensione? Se pensiamo che non ci dovranno essere contributi nel retributivo, quindi, prima del 1996, è molto probabile che dovremo aspettare almeno il 2045, ossia quando andranno in pensione i nati nel 1978, appena maggiorenni quando c’è stato il passaggio definitivo al sistema contributivo.
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