Risparmi imprevisti sulle pensioni, ma all’orizzonte torna il rischio esodati. Le indicazioni della Corte dei Conti accendono il dibattito. Ecco cosa sta succedendo.
Ci sono buone e cattive notizie sul fronte delle pensioni e a comunicarle sono i giudici della Corte dei Conti.
La spesa per le pensioni italiane, da sempre sotto la lente d’ingrandimento per il suo peso sui conti pubblici, presenta oggi una “doppia faccia”. Da un lato c’è una buona notizia: la spesa per pensioni si sta riducendo, con un risparmio complessivo di 4,5 miliardi di euro nei prossimi quattro anni. Un risultato che, in un contesto di vincoli di bilancio europei sempre più stringenti, rappresenta una boccata d’ossigeno per il governo.
Dall’altro lato, però, si profila una decisione controversa: quella di bloccare l’aumento automatico dell’età pensionabile previsto per il 2027. Una mossa politicamente appetibile, ma che secondo la Corte dei Conti potrebbe mettere a rischio l’equilibrio del sistema previdenziale e invertire il cammino di sostenibilità costruito negli anni.
A sollevare entrambi i temi è la stessa Corte dei Conti, intervenuta in audizione sul Documento di finanza pubblica (Dfp), che quest’anno ha sostituito il tradizionale Def. Il giudizio tecnico, affidato a numeri e proiezioni, solleva questioni che meritano un’attenzione profonda. Perché se è vero che c’è un “tesoretto” da spendere, è altrettanto vero che usarlo male potrebbe avere costi ben più elevati in futuro. Ecco tutto quello che c’è da sapere a riguardo.
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Una buona notizia: taglio sulla spesa delle pensioni di 4,5 miliardi di euro
Il primo dato positivo arriva direttamente dalla Corte dei Conti: nel quadriennio 2024–2027, la spesa per pensioni in Italia sarà inferiore di circa 4,5 miliardi di euro rispetto a quanto previsto inizialmente. Una sorpresa che si spiega con una sovrastima, da parte del governo, dell’inflazione attesa nel 2024. L’esecutivo, infatti, aveva messo in conto un aumento dei prezzi superiore al 5,4%, ma l’inflazione reale si è rivelata più contenuta. Di conseguenza, anche la rivalutazione degli assegni pensionistici è stata inferiore, generando risparmi a cascata per l’intero periodo.
Nel dettaglio, si prevede un risparmio di 500 milioni di euro nel 2024, che sale a 1,4 miliardi nel 2025, 1,35 miliardi nel 2026 e 1,2 miliardi nel 2027. Questi numeri non solo alleggeriscono il bilancio dello Stato, ma migliorano anche il rapporto tra spesa pensionistica e Prodotto interno lordo (PIL): dal 15,4% previsto si scende al 15,3%. Può sembrare un’inezia, ma in un’ottica di rispetto dei parametri europei – come il nuovo Patto di stabilità dell’Unione – ogni decimale conta.
Un “tesoretto” che, almeno sulla carta, potrebbe essere reinvestito in politiche sociali o usato per alleggerire altre voci di spesa pubblica. La stessa Corte dei Conti riconosce che questo andamento aiuta a mantenere sotto controllo la spesa netta, parametro centrale nei nuovi equilibri europei, che richiedono una crescita media contenuta all’1,5% l’anno. Inoltre, la Corte sottolinea come le riforme avviate dal 2004 abbiano già contribuito a ridurre la pressione della spesa pensionistica sul PIL di circa 60 punti percentuali entro il 2060. Un risultato raggiunto grazie anche all’adeguamento automatico dei requisiti di pensionamento alla speranza di vita, introdotto proprio per garantire la tenuta del sistema nel lungo periodo.
La Corte dei Conti non vuole il blocco dell’aumento dell’età pensionabile
Se da un lato ci sono risparmi inattesi, dall’altro c’è una decisione in arrivo che non convince i giudici contabili: il blocco dell’aumento dell’età pensionabile previsto dal 1° gennaio 2027. Secondo la legge, infatti, dal 2027 l’età per la pensione di vecchiaia dovrebbe salire a 67 anni e 3 mesi, e per la pensione anticipata a 43 anni e 1 mese di contributi (un anno in meno per le donne), in linea con l’innalzamento della speranza di vita.
Il governo ha però promesso di “sterilizzare” questo aumento, cioè di sospenderlo, con il ministro dell’Economia Giorgetti che ha ribadito l’intenzione in Parlamento. Tuttavia, non sono state ancora chiarite né le tempistiche né le coperture economiche di questa misura. L’Inps, in audizione, ha confermato che non è stata chiesta una stima ufficiale del costo, ma secondo la Cgil servirebbero almeno due miliardi di euro all’anno, mentre il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon parla di appena 200 milioni.
La Corte dei Conti, da parte sua, mette in guardia. Il meccanismo di adeguamento automatico all’aspettativa di vita è considerato uno dei pilastri delle riforme che hanno permesso di contenere la spesa previdenziale nel lungo periodo. Bloccarlo ora – per ragioni politiche o di consenso – rischia non solo di far lievitare i costi futuri, ma anche di creare nuove fasce di “esodati”, ovvero lavoratori che resterebbero senza reddito né pensione per un periodo di tempo indefinito.
Inoltre, la scelta di utilizzare il “tesoretto” per finanziare questa operazione appare azzardata. Non solo perché le stime di risparmio sono legate a un’inflazione bassa che potrebbe non durare, ma anche perché si tratta di fondi che non sono strutturali, cioè non garantiti nel tempo. Una spesa ricorrente come il blocco dell’aumento dell’età pensionabile richiederebbe risorse certe, stabili e a lungo termine.
Insomma, mentre il governo vede in questa mossa un’opportunità per mantenere una promessa elettorale, la Corte dei Conti suona un campanello d’allarme: non compromettere, per convenienza politica, l’equilibrio costruito con fatica negli ultimi vent’anni. Il sistema previdenziale italiano resta fragile, e ogni decisione va valutata con attenzione.
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