Pensioni, buone notizie per chi è divorziato. Ecco cosa cambia

Simone Micocci

13 Aprile 2025 - 09:43

La pensione di reversibilità dopo il divorzio anche senza assegno: cosa cambia con la sentenza della Cassazione.

Pensioni, buone notizie per chi è divorziato. Ecco cosa cambia

La pensione di reversibilità è un istituto molto particolare, con finalità e presupposti diversi rispetto a qualsiasi altro beneficio.

In particolare, ha uno scopo solidale e mira a garantire la continuità reddituale ai superstiti. Proprio per questa ragione in seguito al divorzio la reversibilità spetta soltanto a chi è beneficiario di un assegno divorzile, a patto di non essersi risposato e relativamente al rapporto maturato prima dello scioglimento del matrimonio. Sulla reversibilità all’ex coniuge divorziato, tuttavia, è intervenuta di recente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8375/2025, che porta importanti cambiamenti.

Nel dettaglio, i giudici ammettono la possibilità di riconoscere la pensione di reversibilità anche all’ex moglie o all’ex marito che non percepivano l’assegno di divorzio dal defunto. Un orientamento che può incidere sulla situazione di diversi cittadini, fornendo un supporto utile ai più fragili ma anche complicando la situazione per eventuali coniugi di seconde nozze. Si può però guardare a questa novità con spirito ottimista, visto che la Corte ha comunque previsto specifici parametri a cui fare riferimento per applicare questa eccezione. Si ricorda fin da subito che la sentenza della Cassazione non è vincolante e non implica un cambiamento diretto delle regole, ma è assai probabile che i giudici di altri gradi di giudizio vi si conformino.

Reversibilità all’ex coniuge divorziato, ecco cosa cambia

Come anticipato, la recente sentenza della Cassazione supera il requisito dell’assegno divorzile per riconoscere la reversibilità al divorziato superstite. Questa interpretazione si muove proprio sulla finalità solidaristica del trattamento, che può risultare incredibilmente utile al supporto dei cittadini più fragili.

Di conseguenza, la Cassazione ha ritenuto che se l’ex moglie (o ex marito) versa in uno stato di indigenza comprovato può ricevere la pensione di reversibilità, quanto meno una quota, anche se non titolare di assegno. Sul punto bisogna fare alcune considerazioni per capire meglio l’importanza di questo cambiamento.

L’assegno divorzile viene determinato dal giudice contestualmente alla sentenza di divorzio tenendo conto delle capacità reddituali delle parti e del contributo fornito alla vita familiare. Da tempo è stato valicato il concetto di tenore di vita a cui si guardava un tempo, limitando il beneficio esclusivamente all’ex coniuge incapace di mantenersi autonomamente e in modo incolpevole.

Si tratta di chi non ha redditi sufficienti a provvedere al proprio sostentamento e non può nemmeno procurarseli, per esempio a causa dello stato di salute, dell’età avanzata unita alla mancanza di esperienza lavorativa e così via. L’assegno divorzile è complessivamente basato su criteri molto più stringenti rispetto al mantenimento, anche in considerazione del fatto che ogni tipo di rapporto tra le parti è definitivamente concluso agli occhi della legge. In tempi più recenti, tuttavia, la Cassazione ha riconosciuto all’assegno anche una funzione perequativa, necessaria a compensare l’ex coniuge dei sacrifici fatti per l’altro e per la famiglia.

Deve trattarsi di scelte prese di comune accordo, che abbiano inciso sulle attuali condizioni del richiedente e che, presumibilmente, abbiano contribuito al suo stesso patrimonio. L’esempio più classico è quello della moglie che rinuncia al lavoro per prendersi cura del menage domestico e dei figli, eventualmente aiutando il marito nella sua attività professionale, trovandosi in serie difficoltà con un divorzio in età adulta. Non tutti gli assegni divorzili tengono conto di questa interpretazione, senza contare che - diversamente da quanto accade per i figli - il beneficiario può anche rinunciare a questo contributo.

Ciò però non impedisce di trovarsi in condizioni di disagio economico successivamente, pertanto può ottenere il riconoscimento della reversibilità, valutato in base alle situazioni reddituali delle parti (e su eventuali altri benefici di cui è titolare) e bilanciando gli interessi dell’eventuale coniuge superstite. Bisogna comunque ricordare che in caso di matrimoni molto lunghi o mantenimento di legami anche dopo la fine del matrimonio è facile che il reddito “principale” abbia aiutato il superstite, pur non titolare di assegno. In questo modo, si può superare il criterio dell’assegno, che comunque non limitava la pensione quanto alla somma e resta in ogni caso il parametro principale cui fare riferimento.

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