Pensioni, confermate le modifiche alla rivalutazione: buone notizie per chi ha un assegno d’importo compreso tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo.
Per quanto il testo della legge di Bilancio 2024 debba essere ancora bollinato, non ci sono più dubbi sul fatto che il governo abbia optato in favore di una nuova stretta alla rivalutazione, ossia quel meccanismo (previsto dalla legge) che adegua gli importi delle pensioni al costo della vita.
A darne una prima anticipazione era già stato il ministro dell’Economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, nel corso della conferenza stampa di presentazione della legge di Bilancio, ma a confermarlo definitivamente è il Documento programmatico di bilancio collegato alla manovra.
Qui, infatti, viene spiegato che dai tagli sul fronte pensioni vengono recuperati 2,7 miliardi di euro, l’equivalente dello 0,127% del Pil, e per farlo viene rimessa nuovamente mano alle percentuali di indicizzazione che erano già state riviste lo scorso anno.
Ancora una volta quindi il governo taglia le pensioni anziché aumentarle, per quanto dalle parole di Meloni in conferenza stampa - “daremo 14 miliardi di rivalutazione” - sembrava essere il contrario.
Ma in che modo vengono riviste le percentuali di rivalutazione? Al momento ci sono solamente indiscrezioni a riguardo, alcune anticipate proprio dalla presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa, e va detto che non ci sono solamente cattive notizie: sembra infatti che per coloro che hanno una pensione compresa tra le 4 e le 5 volte la pensione minima ci sarà un trattamento di maggior favore.
Cos’è la rivalutazione e come funziona oggi
Come anticipato, con il termine rivalutazione delle pensioni si intende quel meccanismo che impedisce all’assegno di svalutarsi nel corso degli anni, adeguandolo ogni anno al tasso di inflazione accertato dall’Istat.
Non è quindi merito di questo governo se le pensioni sono aumentate nel 2023, così come se lo saranno quest’anno. Anzi, è a causa delle decisioni prese dal Consiglio dei ministri se gli importi risultanti dalla rivalutazione sono più bassi di quelli che sarebbero stati riconosciuti in caso di applicazione del meccanismo ordinario di indicizzazione, il quale prevede un adeguamento al 100% del tasso accertato per la parte di pensione fino a 4 volte il trattamento minimo, al 90% tra le 4 e le 5 volte e al 75% sopra le 5 volte.
Il sistema Meloni, contestato dai sindacati tant’è che stanno provando a ottenere un giudizio di incostituzionalità, prevede invece che le pensioni debbano essere adeguate:
- 100% fino a 4 volte il trattamento minimo;
- 85% tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo;
- 53% tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo;
- 47% tra le 6 e le 8 volte il trattamento minimo;
- 37% tra le 8 e le 10 volte il trattamento minimo;
- 32% sopra le 10 volte il trattamento minimo.
Il suddetto sistema è stato introdotto dalla scorsa legge di Bilancio e secondo programma sarebbe dovuto valere anche nel 2024, con un tasso di inflazione stimato è del 5,4% (previsione contenuta nella Nota di aggiornamento al Def).
Come viene rivista la rivalutazione e conseguenze
Come anticipato, a oggi un testo della legge di Bilancio 2024 non esiste quindi non possiamo verificare nel dettaglio come sarà la nuova rivalutazione. Secondo le dichiarazioni fatte da Giorgia Meloni, però, sembra che il meccanismo introdotto nel 2023 possa essere leggermente ritoccato, favorendo chi ha una pensione compresa tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo a discapito di chi invece percepisce un importo più alto.
Nel dettaglio, le percentuali potrebbero essere le seguenti:
- 100% fino a 4 volte il trattamento minimo;
- 90% tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo;
- 53% tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo;
- 47% tra le 6 e le 8 volte il trattamento minimo;
- 37% tra le 8 e le 10 volte il trattamento minimo;
- 18% sopra le 10 volte il trattamento minimo.
In grassetto le uniche percentuali confermate, per le altre ci sarà da attendere. Ma le indiscrezioni ci dicono che al ribasso dovrebbero essere riviste anche quelle di chi prende una pensione compresa tra le 5 e le 10 volte il trattamento minimo 2023 (pari a 563,74 euro).
Ciò significa che solo le pensioni con importo inferiore a circa 2.254 euro beneficeranno di una rivalutazione al 100% del tasso, con un incremento quindi di massimo 121 euro lordi mensili (laddove venga confermata l’inflazione al 5,4%).
Per chi prende più di 2.254 ma meno di 2.818 euro circa, invece, il tasso dovrebbe essere pari al 4,86% (90%): ad esempio, una pensione di 2.500 euro riceverebbe 121 euro di aumento, poco più dei 114 euro che sarebbero risultati con le regole di rivalutazione attuali (85% del tasso di rivalutazione, pari a 4,59%).
Severa stretta, invece, per le pensioni più alte: sappiamo ad esempio che sopra i 5.630 euro ci sarà una rivalutazione al 18% del tasso anziché al 32%, quindi la percentuale applicata sull’assegno dovrebbe essere dello 0,97% anziché dell’1,72%. Prendiamo ad esempio una pensione di 5.700 euro lordi: dalla rivalutazione come applicata nel 2023 ne sarebbe risultato un incremento mensile di 98 euro, con quella come rivista dalla legge di Bilancio solo di 55 euro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA