Dal 2013 è entrata in vigore la legge che collega l’innalzamento dell’aspettativa di vita con il progressivo innalzamento dei requisiti per l’accesso alla pensione.
Qualche giorno fa la Cgil ha denunciato quanto scoperto dai suoi patronati sul portale Inps in merito alle pensioni. Il sistema aveva aggiornato i criteri di calcolo delle pensioni, introducendo un aumento dei requisiti di accesso a partire dal 2027. In pratica si sarebbe dovuti andare in pensione in ritardo di 3 mesi rispetto ai requisiti attuali.
L’istituto di previdenza ha subito provveduto a smentire l’aumento che, di fatto, non è ancora ufficiale perché manca il decreto ministeriale. «L’Istituto garantisce che le certificazioni saranno redatte in base alle tabelle attualmente pubblicate», la nota pubblicata dall’Inps. «Esprimiamo profonda preoccupazione per la recente modifica unilaterale dei requisiti pensionistici operata dall’Inps sui propri applicativi, senza alcuna comunicazione ufficiale da parte dei ministeri competenti e in totale assenza di trasparenza istituzionale. Tali modifiche non trovano alcun riscontro nei documenti ufficiali attualmente vigenti», fanno sapere dalla Cglil. Dopo qualche ora tutto è tornato alla normalità, i requisiti sono stati adeguati nuovamente a quanto prevede la normativa vigente, ma il mistero resta. Questo perché come da cronoprogramma, nel 2027 ci dovrà essere effettivamente un adeguamento dei requisiti di accesso alle pensioni in base all’andamento dell’aspettativa di vita indicato dall’Istat. Un qualcosa deciso nel 2010, con il decreto legge n. 78 poi convertito nella legge n. 122/2010 e entrato in vigore nel 2013.
In pensione in ritardo nel 2027
Nel millennio attuale la speranza di vita è gradualmente aumentata rispetto agli anni 70 e 80. Una popolazione che vive di più ricade anche sul sistema pensionistico con lo Stato che è costretto a pagare pensioni per più anni. Per questo motivo nel 2010 si è deciso di innalzare i requisiti di accesso alla pensione in base ai dati sull’aspettativa di vita indicati dall’Istat al fine di sterilizzare gli effetti dell’allungamento della vita media della popolazione.
L’adeguamento è partito nel 2013. Prima della riforma Fornero si andava in pensione di vecchiaia a 66 anni. Si è saliti fino a 67 anni nel 2019 mentre gli anni di contributi necessari sono saliti da 42 anni e 1 mese fino a 42 anni e 10 mesi. Gli adeguamenti previsti per il 2019, 2021, 2023 e 2025 sono stati bloccati dal governo Conte 1. Il prossimo dovrebbe avvenire nel 2027 sia per le pensioni di vecchiaia che anticipate.
Stando alle indiscrezioni, con l’adeguamento ai dati sull’aspettativa di vita, il ritardo dovrebbe essere di 3 mesi. Quindi dal 2027 si dovrebbe andare in pensione a 67 anni e 3 mesi. In base alle leggi vigenti, ci sarà un adeguamento ogni due anni: il primo gennaio 2029, il primo gennaio 2031 e così via. Le previsioni indicano un aumento medio di 2-3 mesi ogni biennio fino a raggiungere 70 anni nel 2067 mentre per la pensione anticipata servirebbero via via più anni di contributi, fino ai 45 anni necessari dal 2053, che salirebbero a 46 dal 2069 e a 46 e mezzo dal 2083. L’aumento dell’età pensionistica riguarderà tutti i cittadini che lavorano sia nel settore pubblico che privato. Al momento però manca il decreto che conferma l’adeguamento dal 2027. Non è da escludere un nuovo blocco come fatto nei bienni precedenti. Alcune forze politiche hanno già annunciato che si opporranno all’aumento.
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