Pensioni, rivalutazione da rifare? Quanto dovrebbe restituire il governo (gli importi)

Simone Micocci

13 Ottobre 2023 - 10:00

I soldi sottratti ai pensionati a causa della stretta alla rivalutazione attuata nel 2023 dovranno essere restituiti? Sarà la Corte Costituzionale a deciderlo, ecco quali sarebbero gli importi.

Pensioni, rivalutazione da rifare? Quanto dovrebbe restituire il governo (gli importi)

Il governo Meloni guarda con attenzione a quanto potrebbe succedere nelle aule di tribunale: sono partite, infatti, le prime cause pilota appoggiate da Uil Pensioni con le quali su punta alla dichiarazione di incostituzionalità da parte della Consulta per il meccanismo di rivalutazione introdotto nel 2023 (e in vigore anche nel 2024) per limitare la spesa pensionistica.

Secondo i sindacati, infatti, da troppo tempo si va avanti con un taglio delle rivalutazione: se consideriamo anche il 2024, infatti, negli ultimi sei anni solamente una volta (nel 2022) è stato utilizzato il meccanismo originario come previsto dalla legge n. 448 del 1998.

D’altronde, già in passato la Corte Costituzionale si è espressa a riguardo, bocciando la “frequente reiterazione di misure intese a paralizzare il meccanismo di adeguamento”. Ed è su pronunce come queste che Uil Pensioni fa leva per bocciare anche il sistema di rivalutazione introdotto dal governo Meloni con la legge di Bilancio, con la speranza di far recuperare ai pensionati quanto è stato loro tolto.

Ma cosa potrà succedere? La questione è ancora tutta in divenire quindi è ancora presto per fare ipotesi: e va sottolineato che anche laddove la Corte Costituzionale dovesse effettivamente bocciare la stretta alla rivalutazione imponendo il ritorno ai tradizionali parametri non è detto che allo stesso tempo preveda la restituzione di quanto tolto negli anni addietro.

Tuttavia, capire quanto effettivamente è stato tolto dalla nuova rivalutazione è comunque utile per farsi un’idea a riguardo, anche in vista di quella che potrebbe essere un’ipotetica restituzione.

Rivalutazione pensioni, i due sistemi a confronto

Con il termine rivalutazione delle pensioni si intende quel meccanismo con cui ogni inizio anno l’importo degli assegni viene adeguato al costo della vita, così da limitarne la svalutazione.

Il sistema originario è quello descritto dalla legge n. 448 del 1998, nella quale viene previsto un meccanismo per fasce d’importo. Nel dettaglio, per la parte di pensione fino a 4 volte il trattamento minimo si applica una percentuale del 100% del tasso di rivalutazione accertato, per la parte compresa tra le 4 e le 5 volte il 90% e sopra le 5 volte il 75%.

Molto differente il sistema adottato dalla legge di Bilancio 2023, applicato quest’anno e in vigore anche nel prossimo. Non solo infatti vengono previste delle percentuali di rivalutazione molto più basse, ma viene anche eliminata la progressività del sistema: ciò significa che sull’intero importo di pensione si applicha la percentuale ridotta prevista dalla fascia di appartenenza.

Nel dettaglio, le nuove percentuali sono le seguenti:

  • al 100% del tasso di rivalutazione per gli assegni d’importo inferiore alle 4 volte il trattamento minimo;
  • all’85% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo;
  • al 53% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo;
  • al 47% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 6 e le 8 volte il trattamento minimo;
  • al 37% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 8 e le 10 volte il trattamento minimo;
  • al 32% del tasso di rivalutazione per gli assegni superiori alle 10 volte il trattamento minimo.

Più aumenta l’importo, quindi, e maggiore sarà lo svantaggio generato dal nuovo sistema. Si pensi al fatto che ad esempio una pensione superiore a 10 volte il minimo, quindi poco più di 5.250 euro, con il primo sistema verrebbe rivalutata al 100% per i primi 2.100 euro (o poco più), al 90% per i successivi 500 euro (tra 2.100 e 2.626 euro) e al 75% per la quota restante, mentre con il sistema Meloni la rivalutazione è stata al 32% per l’intero importo.

Quanto dovrebbe restituire il governo se richiesto dalla Corte Costituzionale

Laddove la Corte Costituzionale oltre a bocciare il meccanismo di rivalutazione dovesse anche obbligare alla restituzione degli importi sottratti dal nuovo sistema, per il governo Meloni si tratterebbe di un duro colpo.

Pensiamo ad esempio a una pensione da 2.500 euro, che con il sistema originario avrebbe goduto di un aumento di 180 euro a inizio 2023 mentre con il taglio introdotto dal governo si è dovuto accontentare di 155 euro al mese, con una differenza quindi di 25 euro al mese (325 euro sull’intero anno). Ma come anticipato, il taglio è tanto maggiore quanto più sale l’importo della pensione: ad esempio, per una pensione di 3.000 euro, la quale avrebbe goduto di un incremento di 208 euro circa, c’è stato un taglio di circa 92 euro a fronte di un importo riconosciuto di appena 116 euro. Ancora peggio per chi prende una pensione di 4.000 euro, con il taglio di 126 euro al mese (137 euro l’aumento riconosciuto rispetto a quello di 263 euro che sarebbe spettato applicando il sistema di rivalutazione originario).

Più si sale, quindi, e peggio è. Ma d’altronde basti pensare che dal taglio della rivalutazione il governo Meloni ha recuperato una cifra di circa 2,5 miliardi di euro per capire la portata dell’operazione.

Poche possibilità per la restituzione degli importi sottratti

Una spesa che di fatto sembra anche limitare le possibilità che la Corte Costituzionale possa imporre la restituzione degli importi sottratti: già in passato, infatti, la Consulta si è dimostrata piuttosto sensibile riguardo al non adottare provvedimenti che potrebbero mettere a rischio i conti pubblici. Ecco perché laddove una sentenza contraria alla rivalutazione Meloni dovesse effettivamente esserci, è molto probabile che non avrà comunque effetto retroattivo.

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