Non solo i tassi, ma anche la fine del programma di acquisto di obbligazioni Bce preoccupa l’Italia. La riunione del 14 dicembre potrebbe anticipare la chiusura del Pepp e colpire il nostro Paese.
Mentre tutti si concentrano sulla politica dei tassi Bce, con la riunione di domani in primo piano, l’Italia dovrebbe focalizzarsi su un’altra decisione dell’Eurotower che potrebbe colpire la stabilità finanziaria del nostro Paese.
Se, infatti, non dovrebbero esserci sorprese sul costo del denaro, molto probabilmente fermo e senza ulteriori rialzi nella riunione del 14 dicembre, novità potrebbero emergere dalla necessità della banca centrale europea di ridurre il proprio bilancio come strumento di restrizione ulteriore alla liquidità.
Nello specifico, Lagarde e gli altri membri del board potrebbero discutere sull’opportunità di chiudere anticipatamente il programma straordinario di acquisto di obbligazioni degli Stati dell’Eurozona, il PEPP, inaugurato con l’emergenza pandemia e ora ridimensionato.
La fine dello strumento, che ha consentito alla Bce di essere un generoso acquirente di debito soprattutto italiano, avrebbe ripercussioni sul mercato obbligazionario - e quindi su spread e stabilità - del nostro Paese.
La Bce sta per chiudere il PEPP? L’Italia in allarme, ecco perché
Il vero colpo di scena dalla riunione Bce del 14 dicembre potrebbe arrivare da nuove indicazioni sul PEPP, piuttosto che su anticipazioni riguardanti i tagli ai tassi del 2024.
Non è escluso, infatti, secondo diversi analisti, un cambiamento nella forward guidance, in particolare su quando l’Eurotower porrà fine ai reinvestimenti del suo programma PEPP.
Il PEPP, o Pandemic Emergency Purchase Program, è un programma flessibile di acquisto di obbligazioni introdotto durante la pandemia. La Bce reinveste i titoli di Stato in scadenza che ottiene dal suo portafoglio PEPP fino a una scadenza ora fissata a fine 2024. Tuttavia, l’esigenza di coerenza con la politica monetaria restrittiva potrebbe spingere il board ad anticipare l’uscita da questo faraonico strumento che ha gonfiato il bilancio a 1.700 miliardi di euro.
“Guardando esclusivamente allo scopo per cui il PEPP è stato introdotto – combattere le ricadute economiche della pandemia – non ha senso mantenerlo in vita”, ha affermato Nick Kounis, responsabile della ricerca macro presso ABN Amro. “Allo stesso tempo, i reinvestimenti flessibili sono uno strumento utile per le sfide che dobbiamo affrontare”.
In sostanza, la flessibilità ancora vigente nei reinvestimenti in acquisti di obbligazioni serve per evitare shock sul mercato obbligazionario, lasciando il debito più vulnerabile in balia di instabilità e di scarsi acquirenti. E qui i riflettori si accendono sull’Italia.
Le obbligazioni italiane sono percepite come le più fragili dinanzi a potenziali ai cambiamenti nel cosiddetto Quantitative Tightening (politica della banca centrale volta a ridurre liquidità anche attraverso la limitazione di acquisti di obbligazioni sovrane), poiché sono state tra i principali beneficiari dei programmi di acquisto di asset.
Tuttavia, Piet Christiansen, capo stratega della Danske Bank, ha affermato che il recente graduale restringimento dello spread Btp-Bund a 10 anni - al minimo di due mesi di 170 punti base a fine novembre - è il modo migliore che hanno gli investitori per infondere fiducia e dirsi pronti a segnalare la fine dei reinvestimenti flessibili del PEPP.
In effetti, le obbligazioni italiane, i principali beneficiari del PEPP, hanno sovraperformato a novembre sulla scia delle speranze di tagli dei tassi, riducendo drasticamente il premio di rischio che pagano rispetto alla Germania.
Se la Bce interrompesse i reinvestimenti a giugno, l’Italia perderebbe circa 15 miliardi di euro di liquidità, rispetto agli oltre 350 miliardi di euro di debito che venderà l’anno prossimo, stima Frederik Ducrozet, responsabile della ricerca macroeconomica di Pictet Wealth Management.
Con o senza Bce, il nodo debito esiste per il nostro Paese e la quantità di emissioni necessarie per finanziare un indebitamento che resta elevato è la prova della cronica fragilità della nazione.
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