Perché la tassa sugli extraprofitti è un flop

Luna Luciano

12 Novembre 2023 - 13:53

La tassa sugli extraprofitti si è rivelata un vero e proprio flop: nessun istituto ha scelto di versare una quota degli utili. Spieghiamo cosa sta accadendo.

Perché la tassa sugli extraprofitti è un flop

È un silenzio imbarazzante quello del Governo Meloni sulla tassa sugli extraprofitti. Un silenzio che dice lunga sull’effettivo flop di una legge che è stata corretta innumerevoli volte, al punto da azzerare i potenziali introiti con cui lo Stato avrebbe potuto riempire le sue casse.

Se ad agosto l’annuncio della legge sul tassare gli extraprofitti delle banche era servito soprattutto per compensare lo sconforto e il malcontento degli elettori per il mancato salario minimo, a oggi questa legge si è rivelata del tutto inefficace a causa dei continui ritocchi apportati, dopo le proteste degli istituti crediti bancari, tra cui Mediolanum, controllata al 30% dalla famiglia Berlusconi tramite Fininvest.

Gli stessi Berlusconi, “azionisti” politici di Forza Italia avevano espresso esplicitamente la loro contrarietà all’imposta con Marina Berlusconi che aveva definito la tassa sugli extraprofitti “demagogica”.

Lo Stato ha quindi perso l’opportunità di poter rimpinguare le proprie casse, ma come è stato possibile che questa tassa sugli extraprofitti si sia rivelata un cero e proprio flop? Sciogliamo ogni dubbio: di seguito tutto quello che serve sapere.

Perché la tassa è un Flop? Non di certo perché mancano gli extraprofitti

Se qualcuno ha ipotizzato che l’imposta sulle banche sia un flop per la mancanza di extraprofitti, si sbaglia: i profitti ci sono.

Come riporta Repubblica, nei primi nove mesi del 2023 il settore bancario in Italia ha registrato oltre 16 miliardi di utili netti, circa il +80% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il sindacato Fabi (Federazione autonoma bancari italiani) ha stimato che per l’intero 2023 gli utili operativi a 43,4 miliardi per i soli cinque gruppi (+70%).

Ciò è - e sarà - possibile a causa del decollo dei margini d’interesse: “quasi doppi per i 10 rialzi dei tassi Bce”. Ma allora perché le casse dello Stato italiano non vedranno un centesimo?

Perché la tassa sugli extraprofitti è un flop?

La tassa degli extraprofitti, a conti fatti, si è rivelata essere un flop perché le banche italiane hanno trovato un modo per “evitarla”, avvalendosi della possibilità di costituire riserve di capitale non distribuibile di 2,5 volte l’importo dovuto. Stando alla ricostruzione di Repubblica tramite fonti, è possibile trovare l’origine del flop nel lavoro svolto sottotraccia dalla vigilanza Bce-Bankitalia, in asse con l’Abi (associazione bancaria italiana) e con il Tesoro, e con la sponda politica di Forza Italia.

La possibilità per le banche di avvalersi della possibilità di destinare a riserva non distribuibile un valore pari a 2,5 volte l’ammontare della tassa sugli extraprofitti è stata introdotta con un emendamento del governo preparato dal Mef, il 23 settembre. Emendamento che è stato approvato dopo che la Bce aveva inviato al Tesoro un parere negativo sull’imposta, sollevando diversi dubbi, tra cui il timore di effetti negativi per il patrimonio bancario e l’economia, in una fase di riduzione dei crediti, dovuta ai rialzi dei tassi e congiuntura stagnante: Bankitalia avrebbe poi censito “oltre 60 miliardi meno di crediti a imprese e famiglie nel Paese a settembre, -6,2% da un anno prima”.

Marina Berlusconi, presidente di Fininvest, che controlla il 30% della banca Mediolanum, aveva aspramente criticato la tassa, sostenendo che fosse “demagogica” e che avrebbe danneggiato l’attrattività dell’Italia per gli investitori. Queste critiche hanno contribuito a rafforzare le posizioni della Bce e delle banche. L’interlocuzione tra Tesoro, Via Nazionale ed Eurotower in quei giorni è stata intensa: e a garantirne la fluidità sarebbe stato - stando a fonti certe di Repubblica - Fabio Panetta, membro uscente del direttivo Bce e governatore di Bankitalia in pectore, gradito a Meloni e vicino ai Berlusconi.

A soli tre mesi dal decreto blitz del 7 agosto, e a un mese dalla sua conversione in legge, è ormai chiaro che la norma non porterà un euro al fisco. Già una dozzina dei maggiori istituti in Italia, nei conti del terzo trimestre, ha reso noto che non verserà l’obolo, dovuto a metà 2024, preferendo costituire una riserva di capitale non distribuibile di 2,5 volte l’importo, come Intesa Sanpaolo (828 milioni), Unicredit (440 milioni) e ancora Banco Bpm, Bper, Mediolanum e perfino le banche a controllo pubblico come Mps, Mcc e Popolare Bari.

La tassa che era destinata a portare nelle casse dello Stato circa 3 miliardi di euro, si è rivelato un abbaglio e anzi solo nella giornata dell’8 agosto ha causato una perdita di 10 miliardi in Borsa al settore bancario.

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