Prezzo del petrolio affonda in settimana: per quali motivi? Ci sono almeno 3 fattori che hanno trainato così in basso il greggio. La domanda debole e un’offerta ancora solida insidiano i prezzi.
Il prezzo del petrolio è stato protagonista in questa settimana dal 5 al 10 dicembre.
Il momento cruciale per la geopolitica globale delle materie prime è arrivato lunedì scorso con l’entrata in vigore dell’embargo europeo e del prezzo massimo del G7 sul greggio russo a 60 dollari al barile.
La Russia, di fronte all’umiliazione delle potenze occidentali che dettano di fatto il prezzo per il suo petrolio, ha minacciato di fermare le esportazioni verso tutti i Paesi che rispettano il price cap. Aggiungendo al timore di una stretta nell’offerta di Putin anche la politica del taglio produzione Opec, ci si poteva aspettare un aumento dei prezzi del greggio.
In realtà, è avvenuto l’opposto. Solo per fare un esempio, la quotazione internazionale del petrolio Brent si è attestata a 76,15 dollari al barile, un nuovo minimo per il 2022. Cosa sta succedendo? Un’analisi del Financial Times offre spiegazioni, con almeno 3 temi in focus per capire perché il prezzo del petrolio è crollato ben sotto gli 80 dollari al barile.
1. Offerta russa di petrolio è solida
Il divieto dell’Europa alle importazioni di greggio dalla Russia, il più grande esportatore di petrolio al mondo, è una vera e propria sanzione, che mira a costringere Mosca a deviare le forniture e a evitare che i petrodollari degli Stati alleati dell’Ucraina finanziano i bombardamenti di Putin.
Quando l’Ue ha annunciato che avrebbe imposto sanzioni a qualsiasi petroliera che trasportava greggio russo, anche diretta in Asia, in alcune capitali occidentali c’era preoccupazione che le misure avrebbero provocato un crollo delle esportazioni russe e un aumento dei prezzi del petrolio.
Questo non sta avvenendo e in più il tetto massimo al prezzo del petrolio russo sta consentendo a Mosca di continuare a vendere greggio.
Intanto, Putin ha affermato che il prezzo massimo corrispondeva al livello al quale la Russia stava già vendendo il suo petrolio, suggerendo che la misura avrebbe avuto un impatto limitato sul bilancio russo. “Non subiremo perdite in nessuna circostanza”, ha detto. Tuttavia, la Russia potrebbe ancora scegliere di destabilizzare il mercato petrolifero in risposta tagliando la sua produzione «se necessario», ha aggiunto.
C’è da sottolineare che Urals - la miscela di punta della Russia - è stato scambiata a circa $53 al barile venerdì pomeriggio, sotto il price cap, secondo i dati Reuters.
“L’offerta russa al mercato rimane alta come in qualsiasi momento dell’anno”, ha affermato Florian Thaler, capo di OilX, che segue i movimenti globali del petrolio. Qualsiasi calo sarebbe visibile solo più avanti nel primo trimestre del 2023, ha aggiunto.
2. I tagli dell’Opec+ non sono così profondi
A ottobre, quando l’Arabia Saudita, la Russia e gli altri alleati dell’Opec+ hanno annunciato un taglio di 2 milioni di barili al giorno alle quote di produzione - equivalenti sulla carta a circa il 2% dell’offerta globale - la reazione occidentale è stata ostile. Riyadh si stava schierando con la Russia in una guerra energetica globale, ha suggerito la Casa Bianca. L’Agenzia internazionale dell’energia ha accusato il gruppo di mettere in pericolo l’economia mondiale.
Ma mentre l’inflazione trainata dall’energia è ancora un problema nelle economie occidentali, le ultime cinque settimane suggeriscono che la mossa del gruppo Opec+ è stata relativamente astuta.
I prezzi del petrolio non sono aumentati ma sono diminuiti, alimentando l’argomentazione del ministro dell’Energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, secondo cui di fronte a un’economia globale indebolita, erano necessari tagli preventivi per fermare un forte calo del mercato. L’Opec+ ha mantenuto gli obiettivi di produzione quando si è riunita domenica scorsa.
Tra l’altro, i tagli effettivi operati da Opec+ sono stati inferiori a quanto annunciato a Vienna, in parte perché alcuni produttori come Angola e Nigeria stavano già lottando per raggiungere le loro quote. Invece di 2 milioni di barili al giorno rimossi dal mercato, il totale è più vicino a 1 milione di barili al giorno, affermano gli analisti.
3. I timori sulla domanda sono più forti di quelli sull’offerta
In questo momento storico, i trader sono concentrati sui timori di una recessione globale e le banche di Wall Street hanno pubblicato previsioni economiche caute per il 2023.
Gli operatori del settore petrolifero, inoltre, percepiscono il mercato come un eccesso di offerta.
Le grandi preoccupazioni del mercato petrolifero si concentrano su Cina e Stati Uniti, i primi due consumatori di energia al mondo. La politica cinese zero-Covid e l’indebolimento dell’economia significano che il suo consumo totale di petrolio quest’anno sarà inferiore a quello del 2021, secondo l’AIE.
Mentre l’economia statunitense potrebbe sfuggire alla recessione, anche la sete di benzina dei suoi automobilisti sembra aver raggiunto il picco. Il consumo per questo periodo dell’anno è stato così basso solo una volta negli ultimi due decenni, nel 2020 colpito dalla pandemia di coronavirus. La domanda totale di petrolio degli Stati Uniti non ha ancora raggiunto l’era pre-Covid.
Una sorta di panico da domanda sta quindi prevalendo su un’offerta stretta. I prezzi del petrolio saranno osservati ancora nel 2023.
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