Il petrolio è tra le materie prime più osservate nel complesso contesto economico. Un’analisi chiarisce perché i prezzi del greggio sono in flessione nonostante la guerra e la crisi dell’offerta.
Il petrolio rialza la testa e scambia con un aumento di quasi 2 dollari al barile venerdì 24 giugno, sostenuto dalla prospettiva di una scarsa offerta ancora duratura.
Il greggio, comunque, si sta dirigendo verso un secondo calo settimanale, per la preoccupazione che l’aumento dei tassi di interesse possa spingere l’economia mondiale in recessione.
Basta osservare le quotazioni: i futures sul Brent scambiano a 111 dollari al barile circa, mentre solo una settimana fa hanno toccato il picco di 116 dollari al barile, con un ribasso del 4,3%. Il contratto WTI vale 106 dollari al barile, mentre pochi giorni fa toccava i 110 dollari al barile, con un calo del 3,6%.
Perché, nonostante lo scenario di una crisi di offerta per il greggio, il prezzo è in discesa? I motivi sono almeno tre secondo l’analisi di Dan Yergin, esperto di energia.
Petrolio in calo settimanale per almeno due motivi
Il petrolio è arrivato quest’anno vicino al massimo storico di $147 raggiunto del 2008, quando l’invasione russa dell’Ucraina ha esacerbato le scarse forniture, proprio mentre la domanda si stava riprendendo dalla pandemia.
Il greggio ha ottenuto sostegno dalla chiusura quasi totale della produzione nella Libia, membro dell’OPEC, a causa dei disordini. Giovedì 23 giugno, il ministro del petrolio libico ha detto che il presidente della National Oil Corporation gli stava nascondendo i dati sulla produzione, sollevando dubbi sulle cifre pubblicate la scorsa settimana.
Questo è soltanto uno degli ultimi episodi che possono influenzare il greggio ed esacerbare le condizioni di scarsa offerta (e quinti alti prezzi).
In realtà, gli esperti stanno osservando che dalla fine di maggio, il Brent è sceso da oltre $ 120 al barile a circa $ 109, ovvero circa il 10%. I futures del West Texas Intermediate sono crollati di oltre il 9% nello stesso periodo.
Yergin, vicepresidente di S&P Global, ha affermato che la Federal Reserve degli Stati Uniti sta scegliendo di perseguire l’inflazione anche a rischio di far precipitare l’economia in una recessione, e questo è ciò “che si sta facendo strada nel prezzo del petrolio”.
Ottenere un “atterraggio morbido”, in cui la politica si inasprisce senza gravi circostanze economiche come una recessione, sarà difficile, ha ammesso lo stesso governatore Powell. Questo è il primo motivo per cui il petrolio è in flessione, per Yergin.
Poi, ce n’è un altro: “Vladimir Putin ha ampliato la guerra, da una guerra sul campo di battaglia in Ucraina a una guerra economica in Europa, dove sta cercando di creare difficoltà che spezzeranno la coalizione”, ha sottolineato l’esperto a Cnbc.
La Russia ha limitato le forniture di gas all’Europa tramite il gasdotto Nord Stream 1 e ha ridotto i flussi verso l’Italia. Mosca ha tagliato le forniture di gas a Finlandia, Polonia, Bulgaria, alla danese Orsted, all’azienda olandese GasTerra e al colosso energetico Shell per i suoi contratti tedeschi, il tutto in una disputa di pagamento gas per rubli.
Queste azioni hanno alimentato i timori di un inverno difficile in Europa. Le autorità della regione si stanno ora affrettando a riempire i depositi sotterranei con forniture di gas naturale. Il tutto, creando stress sul comparto energetico in generale.
Sullo sfondo, poi, c’è la Cina, il più grande importatore di petrolio al mondo. Il dragone ha lentamente riaperto parti del Paese che sono state recentemente bloccate a causa dei picchi di casi di Covid. Non è chiaro quanto velocemente le imprese cinesi saranno in grado di riprendersi da tali restrizioni sull’attività economica. Questa incertezza “ha impedito al prezzo [del petrolio] di salire”, secondo Yergin.
Incognita OPEC e offerta
Da valutare anche i Paesi OPEC. All’inizio di questo mese, il cartello ha deciso di incrementare la produzione di 648.000 barili al giorno a luglio, ovvero il 7% della domanda globale, e della stessa quantità ad agosto. Questo è in aumento rispetto al piano iniziale per aggiungere 432.000 bpd al mese in tre mesi fino a settembre.
“Pensiamo che l’OPEC+ passerà quindi a un approccio più liberale e consentirà ai pochi membri con capacità inutilizzata di produrre di più”, ha affermato in una nota di giovedì Edward Gardner, economista delle materie prime presso Capital Economics. Ciò potrebbe far scendere i prezzi del Brent a circa $100 al barile entro la fine dell’anno, ha dichiarato.
Tuttavia, sebbene le quote di produzione dei membri dell’OPEC+ siano state gradualmente allentate, la maggior parte non è riuscita ad aumentare la produzione altrettanto rapidamente in tandem, ha ricordato Gardner.
La maggior parte degli altri membri non ha la capacità di aumentare la produzione a breve termine. “Semmai, pensiamo che alcuni, in particolare Angola e Nigeria, probabilmente vedranno una produzione inferiore nei prossimi mesi, poiché anni di sottoinvestimenti continuano a pesare”, ha scritto.
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