Mentre 30 deputati democratici chiedono alla Casa Bianca un cambio di approccio verso Kiev, il segreto di Pulcinella viene a galla: le sanzioni fanno ridere e l’export di Mosca sorride. Grazie a Xi
Tranquilli, sui media italiani non ne troverete traccia. Se non residuale. Una macchiolina. E la cosa non deve stupire più di tanto, perché proprio l’Impero romano ci insegna come la battaglia infuriasse furibonda all’interno del Senato dell’Urbe. Ma, altresì, come alle province dovesse arrivare un unico messaggio, netto e univoco. Non stava a loro esercitare il processo democratico, loro dovevano subirlo.
Ed ecco che mentre il Corriere della Sera si presenta in edicola con un’intervista a Volodymir Zelensky degna della prefazione apologetica dell’autobiografia di un Premio Nobel, il Washington Post - quello del Watergate, tanto per avere un riferimento - sente il bisogno di rilanciare come news of the day la seguente notizia:
A group of 30 House liberals is urging President Biden to dramatically shift his strategy on the Ukraine war and pursue direct negotiations with Russia, the first time prominent members of his own party have pushed him to change his approach to Ukraine.https://t.co/mNDH1wRkEk
— The Washington Post (@washingtonpost) October 24, 2022
trenta deputati democratici hanno scritto al presidente Joe Biden chiedendo un drastico scostamento della politica americana sull’Ucraina: Più a lungo durerà la guerra, più il rischio di un’escalation si diffonderà con effetti devastanti. Deputati democratici. Non quinte colonne del Cremlino.
E ancora: Date le catastrofiche possibilità di escalation ed errori di calcolo politico rispetto al rischio nucleare, noi condividiamo il suo obiettivo di evitare un conflitto diretto con la Russia, inteso quest’ultimo come una priorità assoluta di sicurezza nazionale... Ma riteniamo anche che l’interesse degli Usa, dell’Ucraina e del mondo intero sia quello di evitare un prolungamento del conflitto. In tal senso le chiediamo di pareggiare l’enorme sforzo compiuto dal nostro Paese in fatto di finanziamento e armamento dell’Ucraina con un’altrettanto proattiva ricerca di un quadro realistico che porti a un cessate il fuoco. Deputati democratici statunitensi. Non la Pravda o la Tass.
Certo, l’odore delle urne per il voto di midterm ormai ha impregnato l’aria negli Usa. Ma c’è dell’altro. A partire da questo:
China’s exports to many of its largest trade markets — including Germany, France and the UK — contracted in September while exports to Russia increased https://t.co/ORJpf6mHSv
— Bloomberg (@business) October 24, 2022
Russian exports surged 25.4% year-on-year to 431 billion dollars in January-September, leading to a record trade surplus of 251 billion dollars https://t.co/PrOTAfFCyb pic.twitter.com/FjPe8659Ga
— China Xinhua News (@XHNews) October 24, 2022
chi pensava che la Cina avesse voltato le spalle alla Russia, poiché non intenzionata a divenire parte in causa di una potenziale escalation nucleare, deve rivedere i propri calcoli. Perché agli appelli al dialogo in sede ONU, Pechino fa seguire sostegno economico diretto e strutturale alle casse del Cremlino, il cui surplus record è stato bruciato dai costi delle guerra. Ma non dal crollo delle esportazioni energetiche, epilogo vaticinato dai difensori a oltranza della bontà del regime sanzionatorio. E lo dimostra plasticamente questo grafico:
l’offsetting rispetto alla guerra dichiarata dall’Europa a Gazprom, compreso il coté ancora misterioso dell’incidente a Nord Stream. vede Mosca garantita dagli acquisti di Cina, India e Turchia. Più un misterioso acquirente sconosciuto, l’area in giallo che spicca nel mese di ottobre.
E qui casca l’asino. O, meglio, salta il banco del segreto di Pulcinella. E, soprattutto, rischia di scoperchiarsi il vaso di Pandora subito prima del voto dell’8 novembre. Ragione che probabilmente sta alla base della scelta di quei 30 deputati democratici di rompere pubblicamente gli indugi e chiedere alla Casa Bianca un cambio di strategia verso la questione ucraina. Questo grafico
mostra come, a due settimane dal voto, il prezzo alla pompa dei carburanti negli Stati Uniti veda lo spread novembre/dicembre ai massimi dal 2018. La ragione? Le scorte regionali del New York Harbor ai minimi da dieci anni. Un bel guaio un periodo di inflazione galoppante. E, soprattutto, di campagna elettorale che entra nel forcing finale. E cosa accade? Questo:
a garantire sollievo ai frequentatori delle aree di servizio USA ci penserà... la Cina. Perché la Torm Singapore con a bordo 300.000 bbl di componenti combustibili è partita Huizhou con direzione porto di Los Angeles, dove è attesa attorno al 10 novembre, stando alle tracciature di rotta di Kpler e Bloomberg. La speranza, quindi, è che da qui al quel giorno il mercato prezzi in anticipo l’arrivo della cavalleria del Dragone. E prezzi scendano, giusto in tempo per il voto.
Ma il vero pezzo forte dell’ipocrita pantomima delle sanzioni sta tutto qui:
stando ai dati ufficiali, la Cina avrebbe importato oltre 1 milione di barili di petrolio al giorno dalla Malesia nel mese di settembre. Peccato che quel dato sia esattamente il doppio della produzione reale di quel Paese. Tradotto: sotto falso nome ed etichetta, la Cina sta facendosi beffe delle sanzioni e acquistando petrolio sanzionato di Venezuela, Iran e soprattutto Russia.
E tutti lo sanno. Tranne l’opinione pubblica Usa, la stessa che l’8 novembre metterà la croce sulla scheda. La farsa comincia a crollare, il domino delle bugie traballa. E ad ammetterlo, costretto giocoforza dalle evidenze ormai impossibili da occultare, è stato anche lo stesso Corriere della Sera che formalmente incorona Zelensky come uomo del destino:
L’industria europea nelle mani di Biden: così il potere si sposta verso l’America https://t.co/dPEIaEhWr8
— Corriere della Sera (@Corriere) October 24, 2022
insomma, il risultato del delirio sanzionatorio appare chiaro. Mission accomplished. Resta da capire quanto i vertici europei siano da ritenere dilettantisticamente inconsapevoli di questo epilogo oppure scientemente complici. Perché i furiosi attacchi contro il double standard americano di sfruttamento della crisi ucraina lanciati nell’ultima settimana da Bruno Le Maire ed Emmanuel Macron parlano fin troppo chiaro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA