Il Newcastle Coal vola ai livelli record di marzo, nonostante il rischio di lockdown in Cina raffreddi le aspettative di crescita globale. Un problema, perché depotenzia una fonte alternativa al gas
Quando comincia a piovere, spesso e volentieri l’epilogo è il diluvio. E mentre l’Europa è alle prese con la chiusura di Nordstream e le sue istituzioni reagiscono con tutta calma all’emergenza, attendendo il 26 luglio per il vertice straordinario sull’energia, i prezzi di una fonte alternativa come il carbone da riscaldamento esplodono.
Il Newcastle Coal, infatti, ha sfondato quota 400 dollari per tonnellata, arrivando nelle ultime 24 ore a toccare la quotazione record registrata lo scorso marzo, al momento dell’esplosione del conflitto in Ucraina. Il fixing a 432 dollari, come mostra questo grafico,
di fatto si configura come un’aggravante pesantissima per Paesi come la Germania e l’Italia, i quali - preso atto dell’inapplicabilità dell’agenda green in una situazione di emergenza epocale - puntavano proprio sul combustibile fossile per soppiantare il gas nella produzione di energia elettrica. A quei prezzi e in caso la Cina dovesse superare l’apparente stand-by produttivo dovuto al nuovo aumento dei contagi, quella che appariva l’unica alternativa immediatamente disponibile si tramuterebbe nell’ennesima incognita congiunturale.
E che la situazione stia generando non poche preoccupazioni, lo dimostra questo strappo
contenuto nell’ultimo report di Deutsche Bank dedicato proprio al tema energetico. Se infatti la banca tedesca arriva quasi a sperare nella recessione e nel rallentamento della crescita come fattore di sgonfiamento del prezzo del gas e nell’attesa indica proprio nel carbone il suo naturale sostituto per il settore produttivo, ecco che la legna da ardere diviene naturale candidato al riscaldamento delle abitazioni private, dove possibile. Insomma, la situazione è tale da rendere decisamente conveniente vivere vicino a una foresta. Nell’anno del Signore 2022 e non nella steppa siberiana ma nel cuore dell’Europa.
E a proposito di steppa, Siberia e Russia in generale, questa ultima immagine
opera da perfetto compendio e sintesi del risultato finora ottenuto dalle sanzioni occidentali contro il Cremlino, al netto appunto dell’esplosione della crisi energetica. Se infatti storicamente il mese di giugno vede il surplus russo legato all’export energetico contrarsi, proprio a causa delle minori necessità di riscaldamento dell’Europa, tanto che dal 2007 al 2021 la media del periodo era 0, quest’anno la lettura del mese appena trascorso segnava un eloquente +28,2 miliardi di dollari. Insomma, un surplus mostruoso. Se questa è la strategia per fiaccare Mosca, forse è il caso di rivederla. E in fretta, prima che le metropoli europee si svuotino a causa di una de-urbanizzazione emergenziale da richiesta di legna. Come in un episodio de La casa nella prateria.
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