La privatizzazione di Poste Italiane potrebbe concretizzarsi nel 2024: tutti i dettagli sull’operazione con la quale il Governo vuole vendere una quota pubblica. Cosa cambierà per utenti e servizi?
La privatizzazione di Poste Italiane compie un passo in avanti con la presentazione del DPCM arrivato alla Camera per il parere delle Commissioni Trasporti e Bilancio.
Nel 2024, probabilmente in autunno considerando i tempi burocratici necessari, potrebbe concretizzarsi il disegno del Governo Meloni di cedere una quota pubblica della società e rafforzare la strategia, più volta annunciata, di incassare attraverso un piano di privatizzazioni mirate.
Poste Italiane rientra in questo programma governativo e il 2024 dovrebbe essere davvero l’anno giusto per assistere alla cessione sul mercato di una parte della quota pubblica. Vediamo cosa c’è da sapere sulla privatizzazione.
Privatizzazione Poste Italiane: come sarà? Il piano del Governo
Il disegno dell’esecutivo prevede che lo Stato debba rimanere in Poste Italiane con una quota non inferiore al 35%. Considerando che attualmente la società è controllata dal Mef per il 29,26%e da Cassa Depositi e Prestiti per il 35%, questo significa che il piano del Governo contempla la svendita delle azioni in possesso del Tesoro (lasciando intatta la quota CDP).
Nello specifico, non è esclusa una operazioni in più fasi. Così si legge nello stesso decreto:
“[la privatizzazione] potrà essere effettuata attraverso il ricorso singolo e/o congiunto ad un’offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Poste Italiane, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali, ovvero attraverso collocamento sul mercato, anche mediante modalità di vendita accelerate o attraverso vendita in blocchi.”
Da precisare anche che quando si esegue un’Offerta pubblica di vendita (Opv), - si collocano cioè sul mercato azioni che già esistono a prezzi e quantità prefissati - il 30% delle quote vendute sono riservate a risparmiatori e dipendenti. In pratica, quindi, gli investitori istituzionali rappresentati da fondi di investimento, fondi pensioni o compagnie assicurative hanno a disposizione il restante 70% (la parte più grande).
Il provvedimento sulla privatizzazione di Poste Italiane stabilisce anche:
“Al fine di favorire la partecipazione all’offerta del pubblico indistinto dei risparmiatori e dei dipendenti del Gruppo Poste Italiane, tenuto conto anche della prassi di mercato e di precedenti operazioni di privatizzazione, potranno essere previste forme di incentivazione in termini di quote dell’offerta riservate e/o di prezzo (anche differenziato per pubblico indistinto e dipendenti) e/o, per quanto riguarda i dipendenti, di modalità di finanziamento”.
Con la cessione da parte dello Stato del 29%, l’incasso è stimato a 1,5 miliardi. Per il Tesoro, però, nel lungo periodo questa svendita potrebbe tradursi in entrate minori e nella perdita di guadagni dai dividendi.
Cosa cambia con la privatizzazione di Poste?
La questione della privatizzazione di Poste, pur con una quota che rimarrebbe in possesso pubblico, ha innescato una serie di riflessioni sulle conseguenze per i cittadini in caso di concretizzazione di tale cambiamento.
I sindacati, nello specifico, sono piuttosto scettici e temono che questa svendita ai privati impatti negativamente sulla qualità dei servizi offerti oggi da Poste, con particolare riguardo nei confronti dei piccoli comuni dove uffici e servizi postali sono di estrema importanza.
Nel mirino delle organizzazioni sindacali ci sono anche i timori sull’occupazione e sulla distribuzione dei profitti della società, che potrebbe andare a svantaggiare la qualità delle attività offerte alla popolazione in nome di maggiori introiti per i privati.
Dalla sua parte, il Governo aveva già rassicurato sull’operazione, con il ministro Giorgetti a sottolineare che la cessione di una quota del capitale sarà volta ad accrescere il valore del Gruppo Poste, garantendo allo stesso tempo la qualità dei servizi e il mantenimento dei livelli occupazionali.
Poste Italiane in pillole: l’azienda oggi
Al momento, in attesa di novità sulla privatizzazione, gli azionisti di Poste Italiane sono così divisi: 35% in mano a Cassa depositi e prestiti; 29,26% in possesso del Ministero dell’Economia; 23,08% detenuto da investitori istituzionali (fondi comuni di investimento, i fondi pensione e le imprese di assicurazione); 11,85% in quota a investitori individuali e un 0.82% di Poste Italiane.
Con fatturato di oltre 12 miliardi di euro e un utile netto superiore 1,9 miliardi di euro nel 2023, la società è molto solida. La distribuzione del dividendo è salita del 23% rispetto al 2022.
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