Il prezzo del petrolio corre di oltre il 2%: si intensifica il rebus energetico e con l’effetto delle sanzioni al greggio russo l’oro nero balza nelle due quotazioni. C’è una nuova minaccia di Putin.
Il prezzo del petrolio corre in questo turbolento finale di anno.Le quotazioni Brent e WTI balzano di oltre il 2% in mattinata, dirette al secondo guadagno settimanale.
Il motivo dell’impennata è la Russia, che ha minacciato di tagliare la produzione di greggio in risposta al tetto massimo imposto alle sue esportazioni, evidenziando i rischi per le forniture globali nel nuovo anno.
Sul petrolio, l’Unione Europea, le nazioni G7e l’Australia hanno introdotto un prezzo massimo di $60 al barile dal 5 dicembre, oltre all’embargo dell’Ue sulle importazioni di greggio russo via mare e impegni simili da parte di Gran Bretagna, Canada, Giappone e Stati Uniti.
In questo contesto di rinnovate sanzioni, specificatamente indirizzate a colpire le ricche entrate petrolifere di Putin, il prezzo del petrolio è osservato come non mai. Si attende proprio la reazione di Mosca, con le prime minacce allo stop di forniture che sono arrivate giovedì 22 dicembre.
Alle ore 12.40 del 23 dicembre, le quotazioni Brent e Wti scambiano rispettivamente a 82,89 dollari al barile (+2,36%) e a 78,42 dollari al barile (+1,85%). Il West Texas Intermediate è sulla buona strada per un guadagno di circa il 6% per la settimana.
Cosa succede ai prezzi del petrolio e perché la minaccia russa mette in pericolo l’offerta.
Prezzo petrolio in volata: cosa ha minacciato di Putin?
La Russia potrebbe tagliare la produzione di petrolio del 5%-7% all’inizio del 2023, in risposta ai limiti di prezzo sui suoi prodotti greggi e raffinati e interrompendo le vendite ai Paesi che li supportano: questo è stato annunciato dal vice primo ministro russo Alexander Novak.
Descrivendo per la prima volta la risposta di Mosca ai limiti di prezzo introdotti dall’Occidente, Novak ha affermato che i tagli potrebbero raggiungere i 500.000-700.000 barili al giorno (bpd).
Non solo, il vice primo ministro ha voluto precisare che, nonostante gli sforzi dell’Europa per ridurre la dipendenza dal petrolio e dal gas russi, l’energia della Russia è richiesta in tutto il mondo e Mosca ha diversificato i suoi acquirenti.
Novak ha affermato che sarebbe difficile provvedere allo sviluppo economico globale senza l’energia russa e ha previsto possibili carenze di gas in Europa, oltre che di petrolio.
La minaccia da ritorsione, quindi, è arrivata. Soffermandosi specificatamente sul petrolio, la risposta dei prezzi del greggio è stata un rialzo, con il timore che l’offerta venga ulteriormente compromessa.
Secondo un analista di materie prime di UBS Group, “una propensione al rischio e un dollaro Usa più debole stanno aiutando il petrolio oggi. Anche i commenti russi stanno aiutando, ma il mercato probabilmente vuole vederlo prima di crederci.”
Intanto, ci sono stati i primi segnali che il limite sta ostacolando i flussi di petrolio russo, un impatto che andrebbe contro gli obiettivi dichiarati. Nella prima settimana intera dopo l’entrata in vigore del price cap il 5 dicembre - in tandem con un divieto dell’Unione Europea sulle importazioni russe via mare e limiti sulle assicurazioni - i volumi totali spediti dalla nazione sono diminuiti del 54%, come ha mostrato il monitoraggio delle petroliere compilato da Bloomberg.
L’obiettivo del tetto è quello di limitare le entrate di Mosca, senza però sconvolgere l’entità dell’offerta. Questo mese, il greggio Urals è stato venduto con sconti maggiori e l’acquirente dominante, l’India, ha acquistato barili ben al di sotto del limite di $60.
Il petrolio è dunque pressato da diversi fattori. I prezzi corrono sul timore di una offerta sempre più stretta, anche per ritorsione della Russia contro l’Occidente.
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