Reddito di cittadinanza, l’addio all’offerta congrua cambia tutto: il rischio di perdere immediatamente il diritto all’assegno è sempre più concreto.
C’è una novità della legge di Bilancio 2023 che potrebbe avere serie ripercussioni sui percettori del Reddito di cittadinanza, un impatto persino maggiore rispetto alla riduzione a 7 mesi del periodo di massima fruizione.
Ci riferiamo all’addio dell’offerta congrua: nel 2023, infatti, qualsiasi opportunità di lavoro presentata ai beneficiari del Reddito di cittadinanza considerati occupabili dovrà essere accettata. Non si terrà più conto della distanza, né tantomeno dello stipendio offerto: basta che si tratti di un lavoro, anche se differente da quello che è l’ambito di competenza, per far scattare le sanzioni previste in caso di rifiuto.
Centri per l’impiego, come pure agenzie private, non dovranno più accertare che un’offerta di lavoro soddisfi tutti i requisiti per essere definita congrua; di conseguenza, il beneficiario sarà obbligato ad accettare qualsiasi tipo d’impiego.
Una novità approvata attraverso un emendamento alla legge di Bilancio 2023 proposto da Maurizio Lupi (di Noi Moderati), secondo il quale è sufficiente che un’offerta sia “a norma di legge”, mentre “il resto, la congruità appunto, vuol dire tutto e niente”.
Va detto che per il momento la congruità dell’offerta resta lì dov’è visto che l’emendamento di Lupi interviene solamente sull’articolo 7 del decreto 4 del 2019, ossia quello riferisce alle sanzioni, mentre non tocca l’articolo 4 del suddetto provvedimento laddove viene stabilito che il beneficiario non può rifiutare le offerte congrue.
A tal proposito, il leader di Noi Moderati ha assicurato che tale discrepanza verrà “risolta in tempi brevi”, poiché l’intenzione del governo è chiara: abolire l’offerta congrua, così da poter togliere il Reddito di cittadinanza al rifiuto di qualsiasi offerta di lavoro.
Le conseguenze dell’addio all’offerta congrua
Eliminando il concetto di offerta congrua il governo Meloni ha scelto di adottare davvero il pugno duro nei confronti dei beneficiari del Reddito di cittadinanza. Fino a oggi, infatti, le offerte di lavoro a loro presentate dovevano rispettare una serie di condizioni:
- intanto dovevano essere coerenti con competenze ed esperienze del beneficiario;
- dopodiché lo stipendio offerto doveva essere superiore di almeno il 10% della quota massima di Rdc erogabile, ossia 780 euro. Lo stipendio, dunque, non doveva essere inferiore a 858 euro;
- la distanza dalla residenza alla sede di lavoro non poteva superare un certo limite, massimo 80 chilometri nel caso della prima offerta;
- la durata del contratto deve essere di minimo 3 mesi;
- per quanto riguarda l’orario di lavoro sono considerate congrue anche le opportunità di tipo part-time, purché almeno al 60% dell’orario a tempo pieno previsto dal Ccnl di riferimento.
Ebbene, tutto ciò nel 2023 - qualora l’emendamento dovesse passare e dovesse essere risolto il problema relativo all’articolo 4 - non esisterà più. Vorrà dire che basterà anche un’offerta di lavoro di 1 mese per far scattare la perdita del Reddito di cittadinanza in caso di rifiuto, anche qualora dovesse arrivare dall’altra parte d’Italia.
Pensiamo ad esempio a un beneficiario residente a Ragusa a cui un’agenzia privata propone di andare a lavorare a Udine per un periodo di 2 mesi, con orario part-time del 50% e con retribuzione di 450 euro. Insomma, un’offerta di lavoro che oggi non soddisfa nemmeno una caratteristica per essere definita congrua, ma che dal prossimo anno potrebbe far scattare la decadenza del Reddito di cittadinanza se rifiutata.
Ricordiamo, infatti, che al tempo stesso la manovra stabilisce che già al primo rifiuto di un’offerta di lavoro scatta la sanzione della decadenza.
Perché l’emendamento Lupi rischia di saltare
Come anticipato, però, c’è un problema: l’emendamento Lupi sembra non cancellare integralmente il concetto di congruità dell’offerta di lavoro dal decreto n. 4/2019, poi convertito in legge n. 26 del 2019, in quanto interviene esclusivamente sull’articolo 7.
Resiste invece quanto stabilito dall’articolo 4 del suddetto provvedimento, laddove viene previsto l’obbligo di accettare le sole offerte di lavoro ritenute congrue ai sensi dell’articolo 25 del decreto legislativo n. 150 del 2015.
Di fatto, così com’è oggi, l’emendamento Lupi rischia di essere “inutile”, come spiegato da un tweet pubblicato dal giuslavorista Michele Tiraboschi.
Secondo lo staff di Lupi, tuttavia, questa incoerenza verrà presto risolta. E come dichiarato da lui stesso, rispondendo alle richieste di chiarimento avanzate dal Fatto Quotidiano, “sul Reddito di cittadinanza l’indicazione è chiara e condivisa dal governo: se dici di no a un’offerta di lavoro decadi dal sussidio”.
E poco importerà se a rimetterci sono quei beneficiari che rifiuteranno un’offerta di lavoro non perché non hanno voglia di andare a lavorare ma perché per ovvi motivi sarebbe solamente un remissione (pensiamo ad esempio a chi gli viene chiesto di trasferirsi molto lontano da casa ma con uno stipendio inadeguato a sostenerne le spese): non ci saranno sconti, il Reddito di cittadinanza verrà tolto subito e senza possibilità di ripensamenti.
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