Il riconoscimento facciale è un strumento davvero valido per aumentare la sicurezza nei luoghi pubblici? La proposta del ministro Piantedosi presenta dei dubbi di fattibilità.
Il riconoscimento facciale non piace a nessuno quando si toccano argomenti come la privacy o quando a farlo sono Paesi che hanno tendenze autoritarie. Al contrario quando la proposta arriva dal governo Meloni le mani sono pronte ad applaudire per l’idea di presunta sicurezza espressa. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha proposto di introdurre il riconoscimento facciale nelle stazioni, negli ospedali e nelle aree commerciali delle maggiori città italiane puntando al monitoraggio e alla prevenzione di crimini e di reati gravi.
La narrazione è quella della sicurezza ad ogni costo, anche a discapito della privacy e dei diritti. L’istallazione di telecamere con capacità di riconoscimento facciale private nei luoghi pubblici è infatti vietato o condizionato al parere del Garante della privacy. In Italia inoltre il riconoscimento facciale è vietato almeno fino alla fine del 2023, ma il governo può richiedere al Garante della privacy di utilizzarlo. Il caso specifico dell’utilizzo è quello della magistratura o per la prevenzione e repressione dei reati, quindi esattamente l’utilizzo che ne vuole fare il ministro dell’Interno.
Il progetto del ministro Piantedosi, che in più di un’occasione ha fatto sfoggio di affermazioni come quelle di “non aver bisogno di lezioni di diritti umani”, è quello di monitorare i crimini commessi da persone di origine straniera. Lo ha fermato lui stesso in un’intervista a Quotidiano Nazionale. Non stupisce quindi l’utilizzo di strumenti come il riconoscimento facciale per alimentare la narrazione della presunta emergenza migranti che il governo Meloni sta raccontando per portare avanti il proprio progetto di chiusura dei confini.
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Il riconoscimento facciale come strumento contro i crimini
Prove di sicurezza e controllo nei luoghi pubblici come stazioni e centri commerciali. Sarebbero questi i luoghi più pericolosi, in particolare nelle grandi città come Milano, Roma e Napoli. Dopo l’ennesimo caso di violenza, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha deciso di prendere la situazione in mano e di rispolverare la proposta del riconoscimento facciale attraverso le videocamere di sicurezza per monitorare le aggressioni e i crimini.
La proposta cade all’interno di un contesto culturale come quello italiano che da sempre è diviso tra chi è a favore delle videocamere e chi è contro. Da una parte c’è chi crede che per ridurre i crimini si possa utilizzare lo strumento della videosorveglianza come deterrente e per scovare i criminali; dall’altra c’è chi propone alternative che non ledano i diritti delle persone.
Inoltre in Italia il riconoscimento facciale è vietato da una moratoria che è valida fino alla fine del 2023. Nel documento si legge che sono sospese fino al 31 dicembre 2023 l’istallazione e l’utilizzazione di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale. Lo stop non si applica ai trattamenti effettuati dalle autorità competenti ai fini di prevenzione e repressione dei reati o se in presenza di parere favorevole del Garante della privacy. Insomma l’utilizzo delle videocamere è già previsto in caso di reato in Italia.
Il riconoscimento facciale è davvero lo strumento definitivo contro il crimine?
Il riconoscimento facciale non è lo strumento definitivo contro il crimine. A dirlo sono anni di studi in Paesi dove questo sistema è già stato introdotto. Nel tempo è sempre più comune l’utilizzo del riconoscimento facciale per prevenire e monitorare eventuali crimini, ma molto spesso sono stati definiti non del tutto affidabili e capaci di generare falsi positivi che impattano maggiormente sulle minoranze etniche.
Si tratta di un aspetto non trascurabile nel progetto generale del governo Meloni che punta a un aumento delle espulsioni di stranieri. A tal proposito il ministro Piantedosi in un’intervista a Quotidiano Nazionale ha fatto esplicito riferimento ai crimini commessi da persone di origine straniera e ha indicato la videosorveglianza come uno strumento fondamentale per limitarli e quindi individuarli ed espellerli. Nella stessa intervista in ministro ha dovuto ammettere che a livello statistico le città italiane sono più sicure di quelle europee e nordamericane, dove sistemi simili di videosorveglianza sono stati incrementati nei luoghi pubblici.
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