L’amministratore delegato di Italcementi e presidente di Federbeton, Roberto Callieri, spiega in un’intervista a Money.it la situazione del mercato del cemento e la sfida sul taglio delle emissioni.
Da una parte l’evoluzione del mercato e gli inevitabili cambiamenti post-pandemia, dall’altra la necessità di intervenire per tagliare le emissioni: sono queste le due sfide che attendono, nel breve e nel lungo termine, l’industria del cemento e del calcestruzzo.
In occasione del Made Expo di Milano Roberto Callieri, amministratore delegato di Italcementi e presidente di Federbeton, fa il punto della situazione in un’intervista a Money.it. Analizzando non solo la situazione attuale del mercato ma anche gli scenari per il futuro e le possibili conseguenze degli aumenti dei costi dopo il Covid-19 e dell’impatto economico sulle aziende della sostenibilità ambientale.
La situazione del settore del cemento in Italia
Callieri parte parlando del mercato italiano del cemento e del calcestruzzo, definendolo “maturo” e non soggetto a rilevanti variazioni di crescita: dopo la contrazione dovuta alla pandemia si sta ora tornando ai livelli del 2019, anche se resta un mercato che negli ultimi 4-5 anni si è mostrato “stabile e stagnante”.
Augurandosi che la stabilità politica perduri, l’ad di Italcementi ritiene che ci troviamo di fronte a nuove opportunità, a partire dai fondi del Pnrr per le infrastrutture: “Potrebbe essere l’alba di un nuovo boom”, afferma. Anche se non basterà per tornare ai livelli di mercato del 2008, pre-crisi.
Le opportunità ci sono e riguardano sia le nuove infrastrutture che quelle vecchie da ristrutturare, come per esempio nei casi dei viadotti. Ed è importante non ritardare ancora, sottolinea Callieri. Servono anche “processi decisionali chiari che mettano a frutto questi fondi”, aggiunge.
Per vedere gli effetti di questo possibile boom, però, è ancora presto: sia perché si tratta di processi che richiedono molto tempo sia perché si sono verificati “forti fenomeni distorsivi post-pandemia che hanno creato degli aumenti dei costi molto significativi: tutti i materiali hanno avuto impennate molte importanti e molti utenti e imprese si sono trovate di fronte a un mondo cambiato, c’è uno stare di fronte alla finestra perché effettivamente ci sono state delle variazioni molto molto impattanti”.
Gli aumenti dei costi post-pandemia
Gli aumenti dei costi - dall’energia alle materie prime - dopo i lockdown causati dal Covid non preoccupano più di tanto l’ad di Italcementi. Si tratta di rialzi dei prezzi che “fanno parte del mondo cambiato, non credo siano strutturali”, afferma. L’impatto c’è ed è reale ma probabilmente “certi aumenti rientreranno”, a giudizio di Callieri.
Altri incrementi dei costi non verranno riassorbiti, ma non c’è da preoccuparsi “perché progressivamente ci si adatterà a queste nuove dinamiche, a queste mutate condizioni: ci vorrà un po’ di tempo, ci saranno crisi e scossoni e ci saranno problemi”, ma alla fine si troverà la quadra.
L’aumento della domanda e i costi finali
L’aumento della domanda che si è verificato in molti settori creando grossi problemi sembra riguardare di meno i cementifici: “Ne risentiamo di meno, anche perché per esempio non utilizziamo grandi quantità di componenti elettronici. Noi produciamo un prodotto molto locale, basato sull’estrazione di risorse naturali, non abbiamo necessità di componentistica per la produzione in questi termini, non risentiamo di questo problema di forniture”.
Inevitabile però risentirne dal punto di vista dei costi dell’energia che hanno subito un’impennata. Questi aumenti non possono essere attutiti dalle aziende e di certo finiranno per ricadere anche sugli utenti finali: “È necessario di fronte a un mondo cambiato, alla fine paghiamo tutti una nuova bolletta elettrica giusto? Sono anche gli utenti finali che fanno i conti con questi aumenti, sono le leggi del mercato”.
I costi delle emissioni: il rischio della concorrenza dell’estero
Il rischio maggiore per il mercato italiano riguarda i costi per le emissioni e la possibilità che in altri Paesi, in cui gli standard sono ben diversi, si possa produrre a prezzi molto più bassi per poi importare in Italia. Per Callieri proprio questo è il “punto più dolente” per il mercato del cemento in Italia. Tanto che la richiesta è quella di applicare anche ai prodotti di importazione gli stessi trattamenti riservati a chi produce nel nostro Paese.
Paese da cui è facile importare un prodotto che viaggia su navi:
“Siamo esposti a importazioni che non devono rispondere alla nostra normativa e non hanno quindi gli stessi costi di emissioni. Questo crea una problematica importante, una preoccupazione crescente. Le importazioni da questi Paesi possono creare un gap di competitività delle aziende nazionali e per questo stiamo facendo attività di lobbing a livello nazionale ed europeo per assicurarci che questi meccanismi di difesa ed equiparazione vengano implementati quanto prima”.
Il taglio delle emissioni nei cementifici
Nel settore il taglio delle emissioni c’è stato e continua a esserci, assicura il presidente di Federbeton. Tutti i produttori hanno un target ben definito e con due date fondamentali: il 2030, quando dovrà essere raggiunta una riduzione del 55% rispetto al 1990; e il 2050, l’anno della neutralità carbonica.
Con questo obiettivo i produttori stanno lavorando sia a livello di processo che di prodotti, pur consapevoli del fatto che sulla “decarbonizzazione non esiste la bacchetta magica”. Italcementi, per esempio, sta lavorando per “massimizzare l’utilizzo di combustibili alternativi al posto di quelli fossili”, spiega il suo ad a Money.it. Massimizzazione che “permetterebbe di ridurre di circa il 12% l’emissione di anidride carbonica”.
C’è però un problema: “Non faccio segreto che abbiamo un discreto vento contrario da un punto di vista burocratico, legislativo, dove l’implementazione è molto laboriosa, macchinosa e soggetta a tante difficoltà”.
Ci sono poi altre iniziative, come l’attività di ricerca per la cattura e lo stoccaggio della Co2. E poi il lavoro sui prodotti, con il lancio al Made Expo di una linea dedicata alla sostenibilità: “Si tratta di prodotti che da un lato tendono a esaltare le performance tecnologiche e dall’altro hanno anche una ridotta impronta emissiva”.
La richiesta al governo sui combustibili alternativi
Proprio sul tema dei combustibili alternativi e, in particolare, dei rifiuti urbani non riciclabili, Callieri si rivolge al governo sottolineando l’importanza di perseguire un doppio interesse: “Avere la possibilità di utilizzare questi rifiuti che nei forni da clinker trovano la loro utilizzazione migliore senza alcun tipo di emissione nociva, dall’altro lato dare un forte contributo all’abbattimento dell’emissione di Co2 sostituendo i combustibili fossili”.
La richiesta è quindi di avere una legislazione che permetta di utilizzare questi combustibili senza processi autorizzativi complessi e lunghi, seguendo l’esempio di quanto avviene in Germania, Austria, Francia: “Paesi in cui mandiamo i nostri rifiuti a essere bruciati”.
Le tecnologie per la cattura di Co2
Il settore del cemento sta portando avanti ricerche per arrivare allo sviluppo di tecnologie che permettono di catturare la Co2 emessa durante i processi chimici: un’attività iniziata da poco e che - sottolinea l’ad di Italcementi - “sarà estremamente invasiva per i nostri impianti”.
Inoltre questo prodotto dovrà essere “trasportato da qualche parte, creando degli impianti di stoccaggio e si parla dei pozzi petroliferi esauriti del mar Baltico, tutte cose complicate e che avranno un costo importante: la decarbonizzazione è necessaria ma ha un costo importante e non c’è alternativa”.
I costi della riconversione ambientale
Uno studio effettuato nel settore parla di costi in eccesso dovuti alla riconversione ambientale superiori ai 4 miliardi da qui al 2050 solo per gli investimenti, a cui aggiungere un ulteriore miliardi e mezzo circa. Stime approssimative, ma che danno un’idea dei costi della transizione ecologica.
Costi che le imprese non possono sostenere da sole, spiega ancora il presidente di Federbeton: “Avremo bisogno di programmi di supporto che ci portino a raggiungere questi obiettivi nei tempi dovuti. Non è solo una questione di soldi, ma di coinvolgimento degli stakeholder, il governo, i legislatori, serve una legislazione attiva”.
Sul tema il dialogo con il Mise prosegue ed è continuo e franco, assicura Callieri. Ora serve, a suo giudizio, un programma che “abbia come target l’arrivo al 2050 ma da qui ad allora servirà una presa di coscienza immediata, un’azione immediata e la voglia di arrivarci. Il nostro futuro è legato a questo e siamo molto motivati a raggiungerlo”.
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