Se Mosca fa infuriare Fed e Casa Bianca, l’Ue si ritrova a Praga per discutere sul nulla. Mentre in Francia 1 distributore su 10 è senza carburante. E la Cina sta bruciando carbone a livelli record
Forse è il caso di mettere un punto fermo, quantomeno uno. La narrativa in base alla quale la Russia sarebbe diplomaticamente debole e isolata, fa ridere. Perché al netto del silenzio tombale di Cina e India rispetto al coro di condanna occidentale per l’annessione delle quattro province ucraine, accompagnato anzi dall’astensione in sede di voto ONU, quanto deciso ieri dall’Opec dimostra come Mosca sia viva e vegeta a livello di cooperazione internazionale.
E, anzi, decisamente intenzionata a ribattere colpo su colpo a price cap e sanzioni energetiche. E non si tratta di punti di vista, bensì di dati di fatto.
The Biden administration is preparing to scale down sanctions on Venezuela’s authoritarian regime to allow Chevron to resume pumping oil there, according to people familiar with the proposal https://t.co/1JORp8K56W
— The Wall Street Journal (@WSJ) October 6, 2022
Perché se il Financial Times dedica addirittura l’apertura di prima pagina all’ira della Casa Bianca per il taglio della produzione di petrolio deciso dal cartello dei produttori su conclamata regia russa, la disperazione di Joe Biden viene confermata dalla mossa di allentare le sanzioni contro uno dei regimi più legati alla Russia e più invisi agli USA, quel Venezuela che si è tentato in tutti i modi di destabilizzare. Chevron può pompare petrolio. Anzi, a questo punto, deve.
Il problema è serio. Perché continuare a ragionare in base a piani di valutazione distorti può creare non pochi problemi. Ad esempio, al netto del totale disinteresse con cui il prezzo del gas sta reagendo al probabile accordo al ribasso sul tetto che si discuterà oggi e domani al vertice informale di Praga, questi due grafici
mostrano come la partita reale sia ancora tutta da giocare. Sia a livello di impatto sugli stoccaggi, in questo caso prendendo in esame le dinamiche di trend storico del Paese più energivoro e allarmato, la Germania, sia a livello di lotta per l’accaparramento del gap di flussi che dal quarto trimestre di quest’anno in poi vedrà i competitor della Russia - soprattutto USA e Norvegia - chiamati a tamponare lo shortfall energetico europeo.
A quali prezzi? A quali condizioni? E, soprattutto, al netto dell’allarme sociale da caro-bollette e di deindustrializzazione da costi ingestibili, siamo sicuri che la gara si baserà sul ribasso competitivo e non sul rialzo da ricatto di sopravvivenza? In tal senso, la scelta della Germania di rompere il fronte Ue e avvantaggiarsi dotando il suo vecchio Fondo pandemico di 200 miliardi parla chiaro. Fin troppo.
Ma non basta. Perché proprio con riferimento alla troppa fiducia nel ruolo di cuscinetto degli stoccaggi, ieri il governo francese ha dovuto ammettere di aver messo mano alle riserve per tamponare l’assenza di carburanti in alcune stazioni di servizio del Paese. E se lo sciopero a oltranza che ha colpito le raffinerie fino al 20 settembre scorso ha garantito al portavoce del governo, Olivier Veran, l’alibi della disfunzione meramente logistica e non di approvvigionamento, a tradire tensione ci ha pensato lo stesso funzionario, quando ha invitato i cittadini a evitare acquisti basati sul panico e sul timore delle scorte.
E se la situazione di disagio è stata a macchia di leopardo, stante alcune aree assolutamente non interessate e altre - come l’Hauts-de-France - in piena emergenza, il governo ha comunque dovuto confermare che difficoltà si sono registrate in una stazione di servizio su 10 a livello nazionale. Non poco. Soprattutto con l’inverno e i suoi potenziali fall-out energetici ancora alle porte. Insomma, occorre un bagno di realismo, prima di farsi trovare con la guardia pericolosamente abbassata.
E le prime a doversi sottoporre a questa terapia d’urto dovrebbero essere proprio le autorità europee riunite a Praga, soprattutto alla luce di questo grafico finale:
a fronte di un’Ue che continua a porre il Green New Deal come argine invalicabile a una seria implementazione di misure d’emergenza, ecco che la Cina già oggi sta generando più elettricità dal carbone che gli Stati Uniti da tutte le fonti combinate. Davvero, anche a fronte dell’ultimo, devastante ridimensionamento delle stime sul Pil 2023 dell’FMI, l’Europa può permettersi battaglie campali e discussioni infinite sull’eliminazione delle cannucce di plastica dai bicchieri dei fast food?
L’orchestra suona sul ponte del Titanic, la gente ancora balla, Ma l’iceberg - sotto il pelo dell’acqua - ha già inferto il colpo. Non a caso, la Germania ha approntato una scialuppa da 200 miliardi. E l’Italia in pieno bailamme da toto-ministri e transizione di governo decisamente inacidita nei toni dall’affaire PNRR, farebbe bene a fare i conti con l’abuso di ottimismo finora sciorinato proprio in fatto di autosufficienza energetica in vista della stagione fredda.
Perché per quanto Moody’s possa ciclicamente inviare pizzini ricattatori, il Portogallo ha usufruito delle facilities di finanziamento BCE per tre anni con il solo investmente grade di DBRS. E alla guida di quell’Eurotower c’era Marto Draghi. E se la Germania fa i conti con i suoi 200 miliardi di cuscinetto, le banche francesi li fanno con altrettanti di BTP in pancia.
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