La storia dell’ordinamento italiano per risalire alla legge più antica ancora in vigore nel cosiddetto Paese delle leggi.
L’Italia è famosa nel mondo per tante caratteristiche e particolarità, alcune motivo di prestigio e altre meno. Il nostro Paese è conosciuto anche per l’eccezionale numero di leggi, che ne fanno un primato in tutta Europa (peraltro con differenze massicce rispetto agli altri Stati) e una posizione di tutto rispetto rispetto al resto del mondo. Ciò nonostante non sia possibile contare con precisione tutte le leggi in vigore, dovendosi affidare alle stime.
In particolare, secondo Normattiva ci attestiamo ad almeno 75.000 leggi nazionali, contando anche le leggi regionali si arriverebbe a più di 150.000. Ben più del doppio di altri Stati europei. Come se non bastasse, molte di queste sono piuttosto datate. Ecco qual è la legge più antica ancora in vigore in Italia.
Leggi antiche in Italia
Per rintracciare la legge più antica in vigore bisogna necessariamente rifarsi alla Gazzetta ufficiale, che assume questa connotazione con l’istituzione del Regno d’Italia nel 1861. Prima di questo momento, infatti, era la Gazzetta Piemontese e riguardava solamente il Regno di Sardegna. Gli altri Regni avevano le proprie Gazzette, che tuttavia non confluirono in quella dell’unificazione. Si passò così alla Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, che divenne Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana in seguito al referendum del 1946.
La Gazzetta del Regno è comunque la prima a riguardare tutto il territorio italiano come lo conosciamo oggi e peraltro sono ancora in vigore diversi regi decreti, sebbene la maggior parte di loro abbia subito modifiche e integrazioni. Molti decreti, inoltre, non possono essere applicati per la mancanza di fattispecie nell’epoca moderna, seppur formalmente in vigore.
I regi decreti non abrogati e compatibili con la Costituzione sono quindi rimasti in vigore e lo stesso vale per i “Decreti del Duce del Fascismo, Capo del Governo”. Nonostante il governo proceda su base periodica ad abrogare i decreti obsoleti, restano comunque nell’ordinamento moltissimi principi e regole derivanti da norme non più in vigore nella loro formula originaria.
Di conseguenza, è davvero molto complesso individuare la legge più antica in vigore in Italia, considerando che norme perfino precedenti all’unificazione del Regno sono in qualche modo confluite nell’ordinamento successivo. Per fornire una risposta precisa bisogna quindi essere molto stringenti, considerando soltanto le leggi in vigore oggi (e non quelle che hanno ispirato norme successive), che sono anche applicabili e applicabili nel contesto moderno.
La legge più antica ancora in vigore
Dovendo proprio delimitare la legge più antica ancora in vigore in Italia bisogna necessariamente rifarsi alla legge n. 2248 del 20 marzo 1865, La legge sull’unificazione amministrativa del Regno d’Italia risalente a quasi 160 anni fa è ancora in vigore per quanto concerne alcune disposizioni, di cui la maggiore è quella relativa al contenzioso amministrativo (l’allegato E della suddetta legge).
La legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo è ufficialmente in vigore dal 1° luglio 1865, stabilendo - tra l’altro - quanto segue:
Tribunali speciali attualmente investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo, tanto in materia civile, quanto in materia penale, sono aboliti e le controversie ad essi attribuite dalle diverse leggi in vigore saranno d’ora in poi devolute alla giurisdizione ordinaria, od all’autorità amministrativa, secondo le norme dichiarate dalla presente legge.
In estrema sintesi, questa legge ha cominciato a dividere la competenza tra giudice speciale e amministrativo a seconda dell’interesse difeso dal ricorrente, spianando la strada alla giustizia amministrativa odierna e alle garanzie di tutela dei cittadini.
Il Codice penale “fascista”
Parlando di norme antiche e ripercorrendo la storia dell’ordinamento non è possibile non soffermarsi sul Codice penale, spesso accusato di essere un prodotto del retaggio fascista incompatibile con la democrazia. Questo perché il Codice penale del 1930 - il cosiddetto Codice Rocco dal nome di Alfredo Rocco, Ministro di grazia e giustizia del governo Mussolini che principalmente ne curò l’estensione - non è stato abrogato o rivoluzionato completamente.
Nel secondo dopoguerra il Codice approvato nel regime fascista è stato oggetto di riforme volte a eliminare le discriminazioni e tutti i principi incompatibili con i valori costituzionali, senza tuttavia essere mai sostituito. Con il passare degli anni il Codice penale ha subito numerose modifiche e integrazioni, ma buona parte delle disposizioni iniziali sono ancora in vigore, perché non incompatibili con l’ordinamento italiano. Le riforme e le pronunce della Corte Costituzionale hanno spesso ripristinato le posizioni del Codice precedente al regime (il Codice Zanardelli), per esempio abolendo la pena di morte e assicurando pari tutela penale per tutte le religioni.
Ad oggi, manca senza dubbio un progetto unitario che guidi il testo, per l’appunto frutto di interventi sparsi nel tempo e non sempre correlati da una visione d’insieme, ma non riflette in alcun modo l’ideologia fascista.
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