L’emergenza siccità è ormai sotto gli occhi di tutti, ma qualcosa potrebbe cambiare grazie alla desalinizzazione.
Trasformare l’acqua di mare in acqua potabile. No, non si tratta di una magia. Ma, vista la gravità della siccità che sta colpendo il nord Italia in questi mesi, la desalinizzazione (o dissalazione) potrebbe rappresentare un piccolo giubbotto di salvataggio per quei paesi che però non stanno certo nuotando in acque dolci. La tecnologia è ormai consolidata e diffusa in diverse parti del mondo ma, tra costi di implementazione, consumi energetici e la produzione di salamoia tossica, rimane qualche punto interrogativo.
Emergenza cuneo salino: in Veneto installato un dissalatore
Per tamponare l’emergenza siccità e gli impatti negativi del cuneo salino che stano colpendo il Polesine, è stato installato a Taglio di Po, (provincia di Rovigo) un dissalatore proveniente dalla Spagna. Per un costo di circa 150mila euro per due mesi di affitto ha la capacità di desalinizzare 100mila litri all’ora, garantendo acqua potabile per cinquemila persone delle zone di Taglio di Po e Ariano nel Polesine.
Il dissalatore rientra nelle soluzioni annunciate durante una conferenza stampa dal gestore idrico Acquevenete, i sindaci dei comuni Polesani, la Prefettura, l’Arpav, l’Ulss 5, il Consiglio di bacino e la Provincia. Inoltre, alcuni comuni del Basso Polesine hanno emanato un’ordinanza per un utilizzo razionale, accorto e sostenibile dell’acqua. Il provvedimento vieta di impiegare acqua potabile per il lavaggio domestico di automobili e veicoli, cortili e piazzali, il riempimento di vasche da giardino e fontane ornamentali.
Il problema più noto è la significativa quantità di combustibili fossili che spesso vengono utilizzati per alimentare i desalinizzatori. Si tratta di un processo molto energivoro: in media un impianto richiede in media da 10 a 13 kilowattora di energia per ogni mille galloni lavorati (3.700 litri).
Tra le innovazioni più promettenti c’è una tecnologia di desalinizzazione a energia solare autonoma che non richiede batterie. Gli impianti dell’azienda francese Mascara sono attivi in diverse aree che soffrono la carenza d’acqua, tra cui Abu Dhabi e Bora Bora, nella Polinesia francese.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science of the total environment, la criticità più grande però arriva alla fine del processo, quando la salamoia (scarto) viene reimmessa nell’oceano. Nella maggior parte dei casi, per ogni litro di acqua potabile prodotto si creano circa 1,5 litri di liquido inquinato da cloro e rame. Queste acque reflue, se non adeguatamente diluite, possono formare un denso pennacchio di salamoia tossica che può danneggiare gli ecosistemi marini, e con l’aumento di temperatura dell’acqua creare le dead zone, aree dove possono vivere pochissimi animali marini.
In questi giorni il governo italiano è impegnato a intervenire sulla grave siccità che sta colpendo la Penisola, puntando prevalentemente su misure di risparmio e di efficientamento delle infrastrutture idriche. Ma la desalinizzazione non sembra rientrare tra le opzioni. Come sottolinea il paper di Althesys e Acciona, nella recente legge Salvamare non solo non viene promosso, ma sembra addirittura penalizzato da un aggravio dell’iter autorizzativo.
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