Eliminata dal nuovo DPCM la parte che affida ai sindaci la decisione di chiudere i luoghi della movida a rischio assembramenti. Ma resta la polemica: ecco cosa è successo.
Tra le novità di maggior rilievo del DPCM del 18 ottobre spicca la possibilità di chiudere intere strade o piazze dove si concerta la vita notturna a partire dalle 21.00, una decisione che ha un grande impatto non solo su bar e ristoranti ma anche sulla libertà di circolazione dei cittadini.
Nella conferenza stampa di ieri sera, Giuseppe Conte aveva annunciato che il potere decisionale di chiudere sarebbe stato affidato ai sindaci, cosa che però ha scatenato l’ira dei primi cittadini, alcuni dei quali hanno parlato di un vero e proprio “scaricabarile.”
Così nel testo ufficiale del decreto pubblicato stamane è sparito ogni riferimento ai sindaci. Ma il problema resta, come fanno notare in molti, e a pagarne le spese sono gli enti locali, spesso senza mezzi e Forze dell’ordine a sufficienza.
Il “nodo” dei sindaci nell’ultimo DPCM: cosa è successo
Le misure del nuovo DPCM, che si vanno a sostituire a quelle emanate soltanto una settimana fa, saranno in vigore fino al 13 novembre 2020 ed è già polemica. Il problema principale riguarda il coordinamento con i sindaci ai quali viene affidata la “patata bollente” di predisporre - ove necessario - la chiusura al pubblico dei centri urbani nella fascia serale, per scongiurare il contagio tra i giovani nei locali della movida.
Il testo entrato in vigore, a differenza di quanto preannunciato, non contiene in modo esplicito il riferimento ai primi cittadini e recita quanto segue:
“Delle strade o piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento, può essere disposta la chiusura al pubblico, dopo le ore 21,00, fatta salva la possibilità di accesso, e deflusso, agli esercizi commerciali legittimamente aperti e alle abitazioni private.”
Cambia la forma ma non il contenuto perché è chiaro che il potere di ordinanza per limitare o inibire l’accesso a determinate zone della città resta in capo ai sindaci, che rischiano sotto diversi punti di vista:
- in primo luogo le accese proteste dei gestori dei locali, che si vedrebbero privati di una fetta di clienti;
- in secondo luogo il rischio di non avere mezzi, strumenti e personale adeguato a predisporre la chiusura ed eseguire i controlli.
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Da nord a sud la protesta dei sindaci contro Giuseppe Conte è unanime; forti le parole di Luigi De Magistris, sindaco di Napoli:
“L’effetto delle parole pronunciate dal presidente del Consiglio davanti a milioni di italiane e italiani sarà quello di lasciare ancora una volta i sindaci con il cerino in mano.”
Boccia “Governo non scarica sui sindaci”
Alle accuse di De Magistris sono seguite quelle di Mario Conte (sindaco di Treviso), Antonio Decaro (sindaco di Bari) e molti altri, tanto è che si è reso necessario l’intervento del ministro agli Affari Regionali il quale ha promesso il supporto totale dello Stato centrale agli enti locali.
Il DPCM, dice il ministro Boccia, deve implementare la massima collaborazione e non vuole in alcun modo scaricare la responsabilità delle decisioni “scomode” sui primi cittadini. Il Viminale assicura il supporto decisionale ed operativo dei Prefetti e dei Comitati provinciali che avranno il compito di valutare quando e per quanto tempo chiudere al pubblico strade e piazze. Parole che non convincono fino in fondo.
Infatti il problema principale è la scarsità dei controlli sul territorio: la Polizia municipale non è in grado di assolvere al carico di lavoro derivante dal nuovo DPCM, che si aggiunge alla vigilanza delle altre norme anti-Covid e ai compiti ordinari.
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