Altri costi di commissione sui buoni pasto. Gli esercenti sul piede di guerra hanno deciso di non accettarli. Vediamo quando non si potranno usare.
Sempre più aziende adottano i buoni pasto come forma di welfare aziendale. Si tratta di ticket che vengono dati mensilmente per ogni giorno lavorato e possono essere sfruttati per l’acquisto di beni alimentari in negozi convenzionati in mancanza di una mensa aziendale.
Molto spesso tali buoni non vengono spesi per le pause pranzo a lavoro, ma accumulati per poi sfruttarli al supermercato per fare la spesa garantendo un bel risparmio ai lavoratori. Si tratta di un bel vantaggio per milioni di lavoratori dipendenti, soprattutto impiegati nel settore pubblico.
Ma spesso non si tende a guardare anche l’altra faccia della medaglia, quella degli esercenti. Bar, ristoranti, negozi di alimentari, supermercati e ipermercati costretti ad accettare buoni pasto pagando una commissione salatissima che si traduce in una riduzione di introiti. Per questo motivo hanno deciso di scioperare il prossimo 15 giugno, così da far arrivare alle istituzioni l’appello a cambiare l’attuale sistema che li penalizza.
I buoni pasto non saranno accettati il 15 giugno
Il prossimo 15 giugno andrà di scena per la prima volta lo sciopero dei buoni pasto. Gli esercenti aderenti a Ancd-Conad, Ancc-Coop, Fiepet Confesercenti, Federdistribuzione, Fida e Fipe-Confcommercio non accetteranno i ticket in segno di protesta.
L’intenzione è smuovere le acque dinnanzi all’immobilismo delle istituzioni che da anni non prendono provvedimenti nei confronti di una riforma che li penalizza fortemente. Numerosi appelli sono andati nel vuoto e per questo le sigle sindacali hanno deciso di arrivare a una soluzione estrema.
Le commissioni arrivano fino al 20%
Gli esercenti molto spesso devono fare i conti con dei costi di commissione altissimi, che arrivano nella maggior parte dei casi anche al 20%. Questo significa che se per il lavoratore i buoni pasto che il datore di lavoro elargisce gli permettono di risparmiare, per gli esercenti spesso è una componente negativa.
Non solo dall’importo del ticket viene decurtata una commissione del 20%, ma dovrà anche attendere circa 4 mesi per riavere i soldi anticipati con la vendita dei prodotti.
Tutto questo non è più sostenibile per l’intera categoria, che chiede una riforma per salvaguardare una forma di welfare aziendale che rischia di diventare inutilizzabile.
Nell’epoca pre-pandemia nel 2019 sono stati 500 milioni i buoni pasto emessi in Italia, per un valore di circa 3,2 miliardi di euro. 3 milioni, invece, i lavoratori che ne hanno beneficiato, di cui 1 milione impiegati nel settore pubblico.
Ogni giorno sono stati spesi 13 milioni di buoni pasto negli esercizi commerciali convenzionati che, una volta scalati gli oneri di gestione e quelli finanziari, segnalano una perdita anche del 30%. Questo significa che ogni 10mila euro incassati in buoni pasto, gli esercizi commerciali perdono 3mila euro.
Le offerte al ribasso a favore di Pubblica amministrazione e multinazionali
L’accusa viene lanciata anche nei confronti delle società che emettono i buoni pasto. Spesso, per accaparrarsi clienti importanti come Pubblica amministrazione e multinazionali, presentano offerte al ribasso, applicando forti sconti che alla fine qualcuno dovrà pur pagare. Chi? Gli esercenti, tramite commissioni salatissime.
E bar, ristoranti, negozi di alimentari, supermercati e ipermercati, pur di non restare fuori dal giro comunque milionario dei buoni pasto, accettano di lavorare sottocosto.
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