Mentre Telecom cala al minimo storico di 21 centesimi per azione e la capitalizzazione di mercato italiana tocca lo 0,53% su base mondiale, il Copasir sembra vigilare solo sul Cremlino. E la Consob?
Il Copasir, l’organismo parlamentare di controllo sui servizi segreti, è stato perentorio. Non appena la crisi di governo ha mostrato segni di inevitabile sbocco elettorale, ha reso noto l’innalzamento dell’attenzione rispetto a possibili interferenze estere nel processo democratico. Tradotto, tira aria di Russiagate all’amatriciana.
Probabilmente, i timori sono fondanti. Ma al netto della posizione assunta da Fratelli d’Italia sulla questione ucraina, il negarsi seriale di Vladimir Putin alle telefonate di Silvio Berlusconi e l’evidente pregresso da mondare da parte della Lega, difficilmente la Russia metterà in campo chissà quale armamentario di destabilizzazione. Non fosse altro per la sindrome Pollicino che verrebbe immediatamente innescata e che farebbe scattare i radar di politica e stampa, già oggi posizionati come satelliti sulla latitudine di Mosca.
Ij compenso, c’è un pericolo decisamente più incombente che pare non interessare gli enti preposti dello Stato. Quantomeno, non allo stesso livello del Cremlino o di una riedizione della marcia su Roma. Nella fattispecie, sarebbe tranquillizzante sentire una messa in guardia della Consob. Perché questa prima immagine
mostra plasticamente come la capitalizzazione di mercato del nostro Paese pesi oggi percentualmente solo per lo 0,53% a livello globale. Praticamente, un Paese emergente. E non basta, poiché questa seconda istantanea
mette ulteriormente in prospettiva lo sprofondo in atto: Soltanto quattro società italiane quotate rientrano oggi nel global Top 500 (Enel, Eni, Ferrari e Intesa SanPaolo) e la più grande di queste, ovvero Enel, non raggiunge nemmeno i 50 miliardi, piazzandosi al 317mo posto. Tradotto, nanismo finanziario.
Ed ecco che proprio oggi, mentre infuria il dibattito sui rischi di tenuta democratica e ritorno di fez e moschetto, alternativa storicamente nostrana al pericolo rosso, quasi un patto Ribbentrop-Molotov dell’allarmismo a orologeria, ecco che questo grafico
ci mostra come Telecom abbia toccato il minimo storico di 21 centesimi di euro per azione, tanto da portare la capitalizzazione totale del nostro operatore a soli 4,39 miliardi di euro. Praticamente, nanismo industriale. Ma, soprattutto, una cornice inquietante: l’intero indice benchmark italiano sarebbe scalabile senza troppa fatica dalla Cina, se lo volesse. E Telecom, dopo l’affaire KKR, appare in sconsolata e inevitabile attesa di un predatore travestito da cavaliere bianco che, fattorizzato un ulteriore calo che le società di rating stanno già annunciando, si presenti alla porta. Senza nemmeno bussare. Vodafone?
Chissà. Una cosa è certa: occorrerebbe che l’autorità di vigilanza di mercato facesse sentire preventivamente la sua voce, almeno quanto il Copasir. Perché i continui e rutilanti studi e report sulle criptovalute possono andare bene per un centro studi privato o per l’FMI: non per chi dovrebbe evitare che, magari sfruttando il caos elettorale, qualche soggetto estero faccia incetta di ciò che resta del nostro sistema industriale e strategico. Gli stessi servizi segreti, infatti, avevano messo nel loro mirino possibili incursioni straniere sul nostro sistema bancario.
E oggi, stante quei numeri e la situazione politica, l’ambiente appare perfetto per un blitz. Magari estivo. A meno che qualcuno non ritenga l’ipotesi di alcune Opa estere da valutarsi come amichevoli. E il capitolo MPS non è da intendersi affatto come puramente casuale in veste di riferimento ipotetico, stante il piano lacrime e sangue annunciato dal management che consegnerebbe la banca più antica del mondo a nuovi padroni con un vestito nuovo zecca e rimessa in sesto. Ovviamente, tutto da valutare. Tutto da ritenersi solo uno scenario possibile. Ma, a occhio e croce, più probabile dell’arrivo dei cosacchi per abbeverarsi a San Pietro. O di un nuovo Duce, magari in tailleur.
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