Studi di settore: l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato on line le statistiche aggiornate al 2016.
Studi di settore: con il comunicato stampa dello scorso 23 novembre 2017 l’Agenzia delle Entrate ha dichiarato che è possibile consultare le statistiche relative agli studi di settore aggiornate al periodo d’imposta 2016.
Nel sito dell’Agenzia delle Entrate è possibile inoltre visualizzare i dati relativi agli studi di settore a partire dal periodo d’imposta 2011, i dati aggregati relativi agli operatori facenti parte delle varie categorie (servizi, manifatture, professionisti e commercio) e le informazioni statistiche relative a uno dei vari studi presenti nel database delle Entrate.
Vediamo ora quali sono state le categorie non congrue e quali rischi corrono.
Studi di settore: le categorie risultate non congrue
Tra le categorie non congrue troviamo i barbieri, i parrucchieri e le lavanderie.
Questi settori infatti dichiarano al Fisco ricavi troppo bassi che non coincidono con i parametri degli studi di settore rispettivamente per il 55% e il 52% dei casi, seguiti dai fiorai con il 47%.
Dagli studi di settore però la categoria meno congrua sembra essere quella dei commercianti. Infatti, dal primo controllo è emerso che solo il 57% risulta essere in regola con i redditi dichiarati. Questi però successivamente si adeguano e la percentuale di regolari sale al 68,6%.
I professionisti, invece, risultano essere quelli più in regola infatti il 78,91% sembra essere subito in regola.
Studi di settore: cosa rischiano le categorie che dichiarano al Fisco ricavi troppo bassi?
La mancata congruità agli studi di settore comporta un maggiore controllo da parte del Fisco, quindi se “Gerico”, il software utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per calcolare la congruità delle diverse categorie, tenendo conto della normalità economica, della coerenza economica e dell’effetto dei correttivi “crisi” rileva situazioni incerte si procederà ad ulteriori controlli per i contribuenti.
Se i contribuenti, selezionati dal software, manifestano ulteriori segnali di allarme, come ad esempio l’antieconomicità dei risultati raggiunti o la non credibilità dei redditi dichiarati rispetto allo stile di vita, questi saranno sottoposti ad un iter accertativo che si divide in varie fasi:
- l’Amministrazione finanziaria invita al contraddittorio il contribuente, in modo da comprendere le relative ragioni difensive. Il contraddittorio è dunque centrale e fondamentale;
- il contribuente può o meno partecipare a detto contraddittorio. La partecipazione è consigliabile, posto che a fronte delle memorie di parte si “appesantisce” l’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria, che nell’eventuale atto di accertamento deve esplicitare le ragioni del mancato accoglimento delle tesi di parte, nonché le ragioni dell’applicazione dello standard al caso concreto. Il contribuente può comunque difendersi anche direttamente in contenzioso;
- l’ufficio competente, in funzione del comportamento del contribuente, può decidere se emettere l’atto di accertamento o meno. In particolare, in presenza di adeguata partecipazione al contraddittorio, l’ufficio potrà valutare come esaustive le motivazioni addotte e desistere dal controllo oppure, come precisato, dovrà dare adeguata motivazione del rifiuto delle tesi di parte. Ovviamente, se il contribuente non partecipa al contraddittorio o avanza tesi generiche, l’emanazione dell’avviso di accertamento sarà direttamente fondato sulle risultanze degli studi di settore;
- in contenzioso sarà l’organo giudicante ad apprezzare l’applicazione dello standard al caso concreto. Il contribuente che non ha partecipato al contraddittorio non ha limitazioni difensive, ma evidentemente si accolla la responsabilità delle conseguenze dei suoi comportamenti, posto che le sue tesi potrebbero non essere accolte.
Come si evince dall’ Iter accertativo spetterà dunque al contribuente dare esaustive motivazioni della mancata congruità agli studi di settore per evitare così pesanti sanzioni.
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