Tesla avrebbe già formulato la richiesta di un prestito che ammonta a circa 2 miliardi di dollari a diversi istituti di credito cinesi. L’obiettivo? Realizzare la Gigafactory di Shanghai
Tesla ha chiesto un prestito di 2 miliardi di dollari per la nuova Gigafactory, l’enorme e rivoluzionaria fabbrica che costruirà a Shanghai. La notizia arriva dalla società JL Warren Capital, che si occupa di ricerca azionaria.
Secondo diversi analisti infatti l’azienda di Elon Musk si starebbe già muovendo tra la Shanghai Pudong Development Bank, la China Construction Bank e la Agricultural Bank of China, al fine di mettere insieme una cifra sufficiente a dare avvio al visionario progetto in terra orientale.
Due degli istituti a cui Tesla si è rivolta sono la Banca industriale e quella commerciale del Paese, che dovrebbero garantire al colosso produttore di auto elettriche l’avvio di una nuova fase di realizzazione dell’impianto.
Tesla chiede un prestito di 2 miliardi per la Gigafactory
Una gigafactory esiste già, ed è da diversi anni in fase di costruzione nel deserto del Nevada. Ma la Cina rappresenta un mercato di crescita cruciale per Tesla, e lo stesso Musk ha comunicato i piani della compagnia sul territorio lo scorso gennaio, in occasione della pubblicazione dei dati trimestrali.
Il quel frangente il CEO rivelò l’intenzione di rendere al più presto operativo l’impianto di Shanghai, evidenziando la circostanza come l’unica in grado di permettere a Tesla di raggiungere standard produttivi ora impossibili da toccare:
“Penso sia l’unico modo per arrivare a 500.000 veicoli all’anno. La nostra è un’auto molto costosa in Cina, abbiamo dazi doganali, costi di trasporto, costi di manodopera più elevati”.
Secondo JL Warren, che tiene sott’occhio costantemente anche le società cinesi quotate negli USA, circa 500 milioni di dollari del nuovo prestito dovrebbero andare a finanziare la prima fase di costruzione della Gigafactory di Shanghai.
La prima fase del finanziamento dovrebbe essere soggetta a un tasso di interesse del 3,9%, una percentuale più bassa rispetto al tasso di riferimento della People’s Bank of China, del 4,35%. Questo dovrebbe agevolare Tesla nel garantire una catena di montaggio in grado di produrre le prime 250.000 berline elettriche Model 3 di fascia inferiore.
I vertici dell’azienda, contattati in merito alla circostanza, non hanno confermato né smentito la cosa.
In passato, Tesla aveva contestato un report targato JL Warren. Nel 2017 infatti la società di ricerca aveva riferito che 6.000 auto spedite in Cina non erano ancora state vendute. In quell’occasione, la società dichiarò a Forbes che si trattava di dati “inaccurati e poco credibili”.
Le case automobilistiche con sede in Cina hanno beneficiato di sussidi e incentivi per 60 miliardi di dollari dal 2012, nati per portare i nuovi veicoli su prezzi accessibili alla maggior parte degli automobilisti del Paese.
Tuttavia, in quanto azienda statunitense senza base manifatturiera in Cina, Tesla non può godere di questi contributi; la circostanza fa sì che una Model S che costerebbe circa 80.000 dollari negli Stati Uniti, oggi costerebbe circa 140.000 dollari a Pechino considerando le tasse.
La nascita di un impianto sul territorio cambierebbe questa equazione e consentirebbe a Tesla di sfruttare sussidi e incentivi, con la possibilità per l’azienda di produrre e vendere la sua Model 3 a un prezzo inferiore sia in Cina che a livello globale.
Tesla resta al momento l’unica azienda automobilistica con sede centrale al di fuori della Cina a essere autorizzata a stabilire una fabbrica sul territorio del Paese senza un preventivo accordo con un ente locale.
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