Ha ancora senso pagare in ritardo il Tfs/Tfr per i dipendenti pubblici? Secondo Pasquale Tridico, presidente uscente dell’Inps, un pagamento immediato è alla portata dell’Istituto.
A poche ore dalla fine del suo mandato, il presidente dell’Inps uscente - Pasquale Tridico - ha lanciato una vera e propria bomba lasciando intendere che a oggi le uniche ragioni che giustificano un pagamento ritardato del Tfs/Tfr per i dipendenti pubblici sono politiche.
Ricordiamo, infatti, che a differenza dei lavoratori del settore privato i dipendenti pubblici ricevono il trattamento di fine rapporto molto dopo dalla cessazione del contratto, persino con 25 mesi di “ritardo” in alcuni casi. Una modalità di pagamento da sempre giustificata con l’esigenza di non appesantire i conti pubblici: tuttavia, allo stato attuale sembrano non esserci le ragioni per continuare su questa strada.
Come confermato da Pasquale Tridico, infatti, i conti dell’Inps non sono mai stati così solidi: il presidente uscente lascia al suo successero un avanzo di esercizio di oltre 7 miliardi più una situazione patrimoniale netta positiva di 23 miliardi di euro. Un tesoretto che renderebbe sostenibile un cambio delle modalità di pagamento per il Tfs/Tfr dei dipendenti pubblici, riducendone i tempi e pagando tutto in un’unica soluzione (mentre oggi avviene in tranche annuali di 50 mila euro).
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Come funziona oggi il pagamento del Tfs/Tfr nella Pubblica amministrazione
Il pagamento ritardato del Tfs/Tfr per i dipendenti pubblici venne introdotto diversi anni fa con lo scopo di risanare la finanza pubblica. Nel dettaglio, le attuali regole prevedono che la liquidazione debba essere pagata:
- entro 105 giorni nei soli casi di cessazione motivata da inabilità o decesso;
- tra i 12 e i 15 mesi in caso di cessazione per raggiungimento del limite di età (pensione di vecchiaia) o per scadenza del termine del contratto a tempo determinato;
- tra i 24 e i 27 mesi nei casi di dimissioni o pensionamento anticipato.
Inoltre, i suddetti termini valgono solamente per la prima tranche di pagamento. L’importo del Tfs/Tfr spettante al dipendente pubblico, infatti, viene suddiviso in tante tranche da 50 mila euro, il cui pagamento viene dilazionato annualmente.
Un dipendente andato in pensione a 67 anni con Tfr da 120 mila euro, quindi, ne riceverà i primi 50 mila dopo oltre un anno dalla cessazione del servizio: dovrà aspettare poi ulteriori 12 mesi per gli altri 50 mila e altri 12 per i restanti 20 mila euro.
Questi termini valgono ancora oggi, ma l’Inps ha previsto un finanziamento agevolato grazie al quale i dipendenti pubblici interessati possono richiedere tutto il Tfr/Tfs in un’unica soluzione, e senza dover aspettare tutto quel tempo, accettando di pagare un minimo di tasso d’interesse.
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Conti solidi, il pagamento immediato del Tfr è “alla portata”
Ma se allora questa procedura poteva essere giustificata dalla necessità di risanare i conti, oggi non sembra essercene più ragione visto che, come anticipato, per le casse dell’Istituto è stato rilevato un avanzo di esercizio di oltre 7 miliardi, più una situazione patrimoniale netta positiva di 23 miliardi di euro.
Tant’è che lo stesso Pasquale Tridico ha ammesso che pagare subito il trattamento di fine rapporto sarebbe “alla portata dell’Inps”, aggiungendo poi che “essendo qualcosa che è già entrato nelle nostre casse è solamente un problema di anticipazione delle risorse”.
Attesa per la sentenza della Corte Costituzionale
Di fatto, Tridico rimanda la questione al governo Meloni. Dal momento che non sembrano esserci più ragioni economiche per proseguire su questa strada, adesso le uniche motivazioni che impediscono un cambio di rotta sono politiche.
Sarà la politica a dover scegliere se cambiare le modalità di pagamento del Tfs/Tfr e in questo potrebbe essere supportata dalla Corte Costituzionale. Presto, infatti, la Consulta dovrà esprimersi sulla costituzionalità di tale procedura: una risposta contraria potrebbe non lasciare scelta al governo, il quale per adeguarsi non potrà far altro che anticipare fin da subito il pagamento della liquidazione per i dipendenti pubblici, per un costo - secondo le stime dell’Inps - di circa 14 miliardi di euro.
Tuttavia, se da una parte gli avvocati dello Stato hanno fatto leva proprio su questi 14 miliardi di euro per far sì che la Corte costituzionale decida in loro favore, minacciando un pericoloso buco dei conti, le ultime dichiarazioni di Tridico potrebbero far crollare le ragioni della difesa.
Chissà se con le sue parole il presidente dell’Inps, che in questi giorni non si sta risparmiando dal togliersi qualche sassolino dalla scarpa, avrà influenza sui giudici: lo scopriremo non appena arriverà la sentenza della Corte, sulla quale vi terremo prontamente aggiornati.
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