La famiglia può obbligare il tossicodipendente a disintossicarsi? Ecco cosa dice la legge in proposito, quali sono le possibilità del Tso e quanto conta la scelta del paziente.
Di norma i familiari cercano di agire l’uno negli interessi dell’altro, spesso con le migliori intenzioni ma talvolta arrogandosi dei diritti che non competono loro. Il tema della tossicodipendenza è molto sensibile a queste dinamiche, dato che, quasi per definizione, il soggetto non vuole ricevere le cure e disintossicarsi, o perlomeno non si sente pronto a un impegno nel lungo periodo.
È poi vero che gli esperti considerano la volontà del tossicodipendente come un aspetto essenziale, tanto che tutti gli approcci terapeutici adottati nel nostro Paese si basano sulla collaborazione. Cosa fare, però, se questa collaborazione non arriva?
Obbligare il tossicodipendente a disintossicarsi sembrerebbe la soluzione migliore – anche se gli esperti non ne sarebbero certi – senza aspettare che la persona si decida, continuando nel frattempo a danneggiare la propria salute. Vediamo allora cosa dice la legge sulla possibilità della famiglia di obbligare il tossicodipendente a disintossicarsi.
La famiglia può obbligare un tossicodipendente a disintossicarsi?
Sebbene si tratti di una risposta indigesta, la famiglia non può obbligare un tossicodipendente a disintossicarsi. Non conta che l’obbiettivo sia di tutelare la salute e il benessere di un proprio caro, ai fini della legge è prioritaria la libertà di scelta di una persona, anche se malata.
La tossicodipendenza è infatti stata definita come una malattia cronica recidivante, ma non per questo dà atto ai familiari di agire contro la volontà dell’interessato. Tanto meno questo potere è in capo agli operatori sanitari, per i quali il consenso è la base di partenza per qualsiasi procedura.
È vero che in determinati casi sono i familiari a prestare il consenso per il paziente, ma si tratta di una questione complessa, limitata agli interventi salva-vita nel senso più letterale del termine. Il diritto alla libera scelta anche in tema di salute è tutelato dalla nostra Costituzione e in particolare dall’articolo 32, secondo cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”.
È poi vero che esistono delle deroghe a questo diritto, infatti la legge può in determinati casi obbligare i trattamenti sanitari, ma soltanto per tutelare l’interesse della collettività (e non solo del singolo soggetto interessato), in ogni caso senza “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
È peraltro in virtù di questo principio che il nostro ordinamento non ammette l’eutanasia, un tema piuttosto dibattuto dal punto di vista giuridico, ma non rilevante per quanto riguarda la tossicodipendenza. Ciò che invece bisogna considerare sono:
- La misura del Trattamento sanitario obbligatorio;
- l’incapacità del tossicodipendente;
- gli effetti sulla collettività.
In sintesi, la legge promuove il diritto alla salute degli individui e tutela la loro volontà di ricevere le cure, per esempio anche riguardo alla conciliazione lavorativa, ma non la può davvero imporsi a riguardo.
I genitori possono obbligare il figlio tossicodipendente minorenne a curarsi?
Quanto detto sull’incoercibilità dei trattamenti sanitari riguarda, con sommo dispiacere delle famiglie, anche i tossicodipendenti minorenni. È vero che ai minori di 18 anni è riconosciuta l’incapacità naturale, tanto da essere sottoposti alla tutela genitoriale, ma questo non è sufficiente a contrastare un diritto costituzionalmente garantito.
Al minorenne, infatti, è comunque garantito il principio di autodeterminazione, in virtù di cui anche i soggetti incapaci (naturali o legali che siano) possono prendere scelte sulla propria persona. Di conseguenza, anche la responsabilità genitoriale viene meno nel caso in cui il minore non presti il consenso a ricevere il trattamento sanitario.
Si tratta di un dogma ormai consolidato dalla giurisprudenza, che soprattutto in tema di vaccinazioni obbligatorie ha spesso affrontato la questione, concludendo che i genitori non sono responsabili del rifiuto del figlio minore a ricevere i trattamenti. Ovviamente, si richiede che il minore sia nelle condizioni di poter esprimere il consenso (per età, capacità), altrimenti la scelta spetta ai genitori.
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Il giudice può obbligare un tossicodipendente a disintossicarsi?
In caso di incapacità naturale – per i minorenni – o temporanea dovuta all’alterazione causata da droghe e alcol, la libertà di scelta garantita dalla Costituzione e dal principio di autodeterminazione individuato dalla giurisprudenza possono trovare delle compressioni.
In particolare, la questione circa il trattamento sanitario può essere rimessa al giudice, tenendo però conto che:
- Può obbligare il minore a curarsi soltanto quando accerta che questo è il suo maggiore interesse;
- il minore dai 12 anni in su deve comunque essere almeno ascoltato;
- non è possibile chiedere l’intervento del giudice per il tossicodipendente maggiorenne, a meno che l’incapacità sia permanente (e ciò presuppone l’intossicazione cronica o la presenza di disturbi di tipo psichiatrico) o ci siano pericoli per la collettività.
In ogni caso la decisione del giudice non può obbligare direttamente l’interessato a ricevere un trattamento sanitario, ma onerarlo di questo impegno alla luce delle future discussioni. Ciò è possibile soltanto in presenza di interessi prevalenti, come la salute pubblica o i diritti dei minori. Per esempio, il giudice può indicare al genitore in causa per l’affidamento di iniziare delle cure per la dipendenza e poi tenere conto delle sue scelte al momento della sentenza.
Trattamento sanitario obbligatorio e tossicodipendenza
Il Trattamento sanitario obbligatorio non è considerabile in tema di tossicodipendenza, anche se idoneo per i profondi stati di alterazione dovuti all’uso di sostanze stupefacenti. La misura del Tso, infatti, presume che il soggetto si trovi momentaneamente incapace di giudicare da sé il proprio stato e può quindi obbligarlo a ricevere le cure necessarie.
Di fatto, però, nemmeno il Tso può obbligare il tossicodipendente a seguire un percorso terapeutico di disintossicazione e riabilitazione, anche perché può durare per un massimo di 7 giorni che, anche ammettendo le proroghe, sono insufficienti per lo scopo del recupero.
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