Con i costi per il trasporto LNG alle stelle, il rischio è quello di un reprice industriale

Mauro Bottarelli

4 Ottobre 2022 - 18:00

L’attacco di Confindustria su flat tax e Quota 41 non è politico ma «di sistema»: il cambio di supply chain sul gas ha fatto lievitare i prezzi dei noli. E il peso sui bilanci delle aziende spaventa

Con i costi per il trasporto LNG alle stelle, il rischio è quello di un reprice industriale

Piove sul bagnato. Anzi, comincia a diluviare. Perché mentre in sede europea va in onda l’ennesima frattura sul fronte energetico, dal mercato arriva la conferma di un rischio potenziale enorme per l’industria europea. E italiana in testa. Se infatti la proposta francese di un fondo in stile SURE per l’emergenza legata al gas ha immediatamente visto contrarie Germania, Austria e Olanda, ecco che il fronte cosiddetto Mediterraneo rilancia l’accusa contro Berlino per la sua scelta di riattivare il fondo pandemico e dotarlo di 200 miliardi per schermare cittadini e imprese dal caro-bollette.

Insomma, tutti contro tutti. E mentre in Italia, Giorgia Meloni si affida a un confindustriale Fare presto come parola d’ordine per la formazione del suo governo, il perdurante stop alle forniture di Gazprom attraverso l’Austria comincia a prospettare scenari inquietanti. E non solo sul breve termine dell’inverno, bensì sul medio. Perché preso atto di un rapporto commerciale e di partenrship con Mosca ormai compromesso e pressoché reciso, questi due grafici

Variazioni percentuali di fornitori e tipologie di gas all'Europa Variazioni percentuali di fornitori e tipologie di gas all’Europa Fonte: Andreas Steno/Macrobond
Andamento del costo di noleggio quotidiano di tankers LNG Andamento del costo di noleggio quotidiano di tankers LNG Fonte: Bloomberg

cristallizzano quale sia il reale rischio che il nostro Paese sta già correndo. E che - con ogni probabilità - è stato il vero motivo che ha spinto il presidente dei Confindustria, Carlo Bonomi, ad attaccare frontalmente ipotesi di riforme irrealistiche come Flat tax e Quota 41 e chiedere al governo di concentrare tutti gli sforzi proprio sul fronte energia.

A fronte di un LNG che oggi è fonte primaria di import europeo, il mercato ha immediatamente prezzato un aumento delle forniture di gas liquefatto del Vecchio Continente da Paesi come USA e Nigeria. Detto fatto, questo rejiggering sulla catena di fornitura globale ha spedito ai massimi i costi di shipping, sia via Atlantico che Pacifico. Il problema per l’Italia è quindi duplice e immediato. Primo, ottenere la certezza delle forniture di LNG statunitense e la riattivazione dell’export ormai fermo dall’incidente occorso all’hub texano della Freeport lo scorso luglio. Secondo, dotarsi dei rigassificatori necessari al processo di trasformazione.

Ma ciò che Confindustria teme maggiormente è l’effetto di reprice industriale, finora limitato dalle aspettative di una soluzione europea condivisa e dalla speranza di un rapido accordo negoziale fra Mosca e Kiev. Se anche gli USA garantissero LNG in quantità sufficiente, ai suoi costi già alti andrebbero sommati quelli di rigassificazione e ora anche di trasporto. I quali, ovviamente, paiono destinati a calare una volta normalizzata la situazione ma tenderanno comunque a mantenere incorporato un certo premio di irschio, quantomeno stante le tratte interessate.

Insomma, il sistema industriale basa costi e profitti su un gas che fino allo scorso inverno viaggiava fra i 25 e i 30 euro per MWh. Oggi, al netto del calo drastico di questi ultimi giorni, viaggia comunque nell’ordine del triplo. Ma facendo riferimento, oltretutto, al gas norvegese acquistato sullo spot market per riempire in fretta e furia gli stoccaggi invernali. Il gas russo a basso costo e a consegna garantita attraverso le pipeline terrestri è archiviato. Così come quello - potenziale e ipotetico - via pipeline marittima, stante quanto accaduto a Nord Stream. Resta la pista LNG. E il mercato lo ha fiutato.

Cosa accadrà fra poche settimane, se in sede europea non si arrivasse ad alcuna soluzione condivisa e, anzi, divenisse regola l’ordine sparso fra i 27 Paesi membri? Anzi, 26. Poiché l’Ungheria, oltre ad aver rinnovato a prezzo bloccato il contratto con Gazprom, proprio l’altro giorno ha ottenuto da Mosca una clausola di pagamento dilazionato, di fatto con Budapest che ha già operato hedging in caso di taglio dei finanziamenti Ue.

Quanto sarà drastico l’impatto per i comparti e le aziende più energivore del nostro Paese? Quanto sarà forte il richiamo della delocalizzazione verso Paesi con costi più bassi, ad esempio proprio l’Ungheria ma anche la Francia con il suo consolidato cap sui costi in bolletta e il nucleare destinato a fare la differenza sul medio periodo? Quanta forza lavoro andrà tagliata? Quanti contratti con terzisti, fornitori e subfornitori non vedranno il rinnovo? E quanto sarà duro il quasi automatico credit crunch che le banche opereranno verso prestiti e fidi, stante il profilo di rischio di un’industria che razionalizza, taglia e riprogramma al ribasso e non investe in CapEx?

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